Cinema

The monopoly of violence, il documentario che sembra un horror sulla brutalità della polizia in Francia durante le manifestazioni dei gilet gialli

Il lavoro del regista David Dufresne è in queste ore proiettato nella rassegna Mondovisioni durante il Festival di Internazionale a Ferrara. Viene ricomposto in un unico ininterrotto sgranato e amatoriale flusso di immagini, girato da chi era lì, la cronaca grezza “dans la rue” di quelle ore

di Davide Turrini

Mani spappolate, occhi maciullati e perduti, vertebre spaccate, bambini bastonati, perfino due cadaveri sul selciato. Sembra un horror ma è un documentario intitolato The monopoly of violence, in queste ore proiettato nella rassegna Mondovisioni durante il Festival di Internazionale a Ferrara. Parliamo degli atti brutali e violenti perpetrati dalla polizia antisommossa e subiti dai gilet gialli nelle più grandi città francesi tra il 2018 e il 2020 durante le manifestazioni di protesta in piazza. Il regista David Dufresne ricompone in un unico ininterrotto sgranato e amatoriale flusso di immagini girato da chi era lì, la cronaca grezza “dans la rue” di quelle ore. La visione non è solo dello spettatore in sala ma è anche la proiezione su grande schermo in una sala oscura due annni dopo davanti agli occhi dei manifestanti presenti alle violenze che subirono, ma anche accadimenti reali messi sotto il naso di storici, sociologi, avvocati, professori di diritto pubblico, rappresentanti dei sindacati di polizia.

Il ricordo è doloroso, il dibattito spesso tra due esponenti di idee opposte è acceso. Ma sul fondo bascula un interrogativo inquietante: chi ha la legittimità di definire cosa è un atto violento e cosa non lo è? Tra urla strazianti di persone comuni, in strada per protestare senza armi o protezione alcuna, che si ritrovano senza più un occhio, la documentazione parla chiaro: la polizia menava e sparava lacrimogeni e pallottole non autorizzate ad altezza uomo. A Parigi, ad Amiens, a Tolosa, e in decine di altri luoghi dove sorse la protesta antisistema e antimacroniana dei gilet gialli. Le immagini sono inequivocabili. Qui non c’è nemmeno il dilemma dell’estintore di recente memoria. La violenza che si sprigiona da parte delle forze dell’ordine non scaturisce da una necessità di ordine pubblico venuto improvvisamente a mancare. Le violenze che spappolano mani, spaccano vertebre, cavano occhi, bastonano bambini sono gratuite, sono rincorse furiose verso gente di spalle, inerme, senza oggetti con cui difendersi. Nel campionario vengono mostrati anche diversi celebri filmati che girarono sui social all’epoca tra cui quello di un’intera classe di liceali rea di organizzare manifestazioni antigovernative fatta uscire dall’aula con i ragazzi in ginocchio, mani dietro la nuca per tre ore e mezza. Come se non bastasse il poliziotto che gira il filmato gode pure nel disporre questa preventiva punizione autoritaria. Già, lo stato autoritario. Bella domanda in una repubblica nata dalla Rivoluzione francese, ribellione spontanea di strada, ghigliottine tirate a lucido col sangue di ricchi aristocratici e potenti.

Con chi deve stare la polizia? Sembra sciocco e banale dirlo, ma i francesi hanno più materiale “costituzionale” su cui riflettere: difendere le istituzioni o il popolo che insorge contro quelli che ritiene dei soprusi? A tal proposito per entrare nell’ambito più filosofico, tra il panopticon, Focault e il fermo immagine di Alexandre Benalla, ufficiale di sicurezza del presidente Macron che, vestito con la divisa della polizia, picchiava manifestanti in strada, c’è una definizione illuminante del vescovo brasiliano Helder Camara che una storica legge a voce alta: ci sono tre tipi di violenza, quella istituzionale che legalizza il dominio, l’oppressione e schiaccia in silenzio i più deboli; quella rivoluzionaria che nasce dalla volontà di abolire la prima; quella repressiva che soffoca la seconda, ausiliaria e complice della prima cioè quella da cui scaturiscono le altre.

Chiaro, l’approccio di Dufresne è un po’ di parte. E il presidente della repubblica Macron viene dipinto per quella mezza tacca di politico sorto dal nulla grazie ad un imponente supporto della grande finanza francese ed europea per “riformare” i diritti socioeconomici dei francesi meno abbienti. Ma, come dire, possiamo lavorare sul montaggio di immagini e parole finchè vogliamo, ma quelle mani, quegli occhi, quelle vertebre sono state annientate con una brutalità sproporzionata rispetto ad una assenza di pericolo. The monopoly of violence, infine, ridona anche un legittimo e oggettivo spessore politico di proteste antisistema da parte di quei gilet gialli segregati nella solita retorica delle “bestie” in azione o della solita “estrema destra” che si agita. Lo spirito di quelle rivolte, che prima o poi risbucheranno ovunque, lo esemplifica uno dei ragazzi che ha perso un occhio mentre a mani nude indietreggiava a oltre duecento metri da un gruppo di poliziotti: “abbiamo sfiorato simbolicamente i luoghi di quelli che ci fottono protetti dai robocop”. E prima o poi la storia, e gli smartphone per riprenderla, tornerà sul luogo di quelle violenze.

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