L’immagine popolare che si ha dell’intellettuale è quella di una persona scollegata dalla realtà quotidiana. Un’immagine antica, visto che già nel V secolo a.C. il commediografo Aristofane raffigurava Socrate sospeso a mezz’aria dentro una cesta. Con fortune alterne, questa immagine è prevalsa almeno fino al 1800, quando un altro grande filosofo – Hegel – affermò che “filosofia è il proprio tempo appreso col pensiero”. Con ciò intendeva sostenere che l’elaborazione di idee e l’esercizio della sapienza non possono essere scollegati (o astratti) rispetto al contesto storico in cui opera l’intellettuale, altrimenti la sua professione diventa autoreferenziale e sterile. O perfino dannosa, nella misura in cui influisce sulla popolazione in termini negativi per il tessuto sociale e per la convivenza civile. Insomma, poche altre cose nuocciono al bene comune come un intellettuale “astratto”.

Purtroppo oggi ne stiamo vedendo tanti, da Massimo Cacciari a Giorgio Agamben e Diego Fusaro, fino ad arrivare ai docenti universitari che hanno firmato contro il “green pass” obbligatorio per entrare all’università, tra i quali è spiccato il nome dello storico Alessandro Barbero. La motivazione principale lascia sconcertati: secondo costoro – pur nella differenza delle argomentazioni e dei toni – si tratterebbe di una norma che lede lo stato di diritto e la libertà individuale, principi cardine della civiltà occidentale.

Eppure, bastano poche nozioni di filosofia politica e del diritto per sapere che le cose non stanno così. Certo, il governo italiano ha peccato di ipocrisia nel non rendere direttamente obbligatorio il vaccino (una politica che ha perso credibilità forse si rifugia in misure di compromesso…). Allo stesso modo è sicuro che c’è una buona parte di incertezza e confusione che, però, sono fisiologiche quando scoppia una pandemia e si ha a che fare con un virus invisibile e sconosciuto. L’importante è non smarrire i fondamenti, e questi ci dicono che lo stato di diritto (rule of law) è nato con i cittadini che decidono deliberatamente di affidare a un Parlamento e a un governo democraticamente eletti (a seconda del sistema costituzionale vigente) il potere di fare le leggi e di emanare dei decreti immediati in caso di emergenza (se non lo è una pandemia…). Aggiungiamo pure che al medesimo governo viene assegnato il “monopolio della violenza”, cioè l’esclusiva possibilità di impiegare uomini delle forze dell’ordine, armi e quant’altro servisse a fermare e sanzionare un fuorilegge.

Sta qui il confine tra giustizia e vendetta. La giustizia è sempre equa e ineccepibile? Tutt’altro, come avviene con ogni faccenda umana, ma decidere di legittimare la vendetta sarebbe una soluzione molto pericolosa. Altro discorso sarebbe se il governo utilizzasse il suddetto monopolio contro la popolazione, ma non mi sembra che spingere a vaccinarsi più gente possibile per il bene comune, fornendo a ciascuno la possibilità di farlo gratuitamente, rientri in un quadro del genere.

Insomma, ciò che mi impressiona è il modo in cui i suddetti intellettuali tuonano contro misure che mirano a tutelare la salute pubblica – al netto della confusione, dell’approssimazione e del metodo per tentativi ed errori (così procede la scienza, ci insegnò Popper), che possono generare disagio fra i cittadini, ma non legittimano nulla di più – trascurando il fatto che da molto tempo prima del Covid viviamo in una società governata a piene mani dalla tecnofinanza. Quella che ha imposto tagli sconsiderati alla spesa pubblica (e quando arriva un virus vengono a mancare le terapie intensive), che ha distrutto i diritti (questi sì) di lavoratori sempre più sfruttati, malpagati e poco tutelati, e che in generale ha imposto un sistema etico in base al quale l’uomo e la natura contano solo nella misura in cui producono profitto finanziario o contribuiscono al progresso tecnologico. All’infuori di queste due possibilità, sono ridotti a semplici risorse da sfruttare (e pare ci sia proprio lo sfruttamento dell’ecosistema dietro la diffusione di nuovi virus).

È da quel dì, in questo senso, che il nostro “stato di diritto” tanto esaltato dagli intellettuali di cui sopra è stato distrutto e trasformato in uno “stato di profitto” (lo dimostra magistralmente il costituzionalista Antonio Cantaro nel suo libro Postpandemia, in uscita a ottobre per Jaca Book. Le lezioni meta-giuridiche e appassionate di un docente che non va in tv). Ma quegli stessi intellettuali concentrano sul green pass i loro strali, forse perché sono loro i primi a beneficiare del sistema tecno-finanziario, per esempio frequentando i salotti televisivi? Forse perché il sistema mediatico in cui siamo immersi oggi mette inevitabilmente in risalto le posizioni polemiche ed estreme, mentre passerebbe pressoché inosservato il buon senso di chi dichiarasse di affidarsi ai governi e alla scienza medica? O forse perché sono sinceramente convinti che il problema sia quello, come i docenti universitari che protestano perché secondo loro è un problema di libertà entrare o non entrare negli Atenei col green pass (mentre evidentemente non è un problema di civiltà e di qualità del sistema-Paese entrare all’Università – per lavorarci – in base a criteri di merito e non tramite la vergognosa cooptazione ancora oggi vigente).

Se filosofia è il proprio tempo appreso col pensiero, allora è molto triste quel tempo in cui i sapienti si mostrano più inadeguati del popolo. Il guaio è che quel tempo pare essere il nostro.

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