Chiunque vincerà le elezioni in Germania e qualsiasi coalizione governerà il paese lo farà senza abbandonare l’eredità politica di Angela Merkel. L’impronta della cancelliera, che per 16 anni ha guidato la nazione più popolosa e più ricca d’Europa, sulla Germania e sull’Unione Europea, se non è permanente, è sicuramente profonda. Tre sono i solchi che ha scavato e che la prossima leadership continuerà a percorrere: l’indipendenza della Germania e dell’Unione dai capricci di Washington; l’apertura di Berlino ad est, alla Russia e alla Cina; la politica monetaria “accomodante” della Banca centrale europea. Nel 2005, quando la relativamente sconosciuta Angela Merkel ascese al potere, nessuno di questi tracciati esisteva.

La Merkel è stata criticata per la mancanza di visione, di lei si è detto che ha navigato a vista al timone di una nazione e di un continente che si è trovato costantemente in acque tumultuose: crisi finanziarie, crisi politiche ed umanitarie, terrorismo islamico, la Brexit, la cancelliera ne ha viste di tutti i colori e ciononostante ha mantenuto la calma evitando più volte il naufragio. Ma non ha mai indicato la meta, non ci ha mai detto dove voleva portare la nave. La verità è che ciò di cui l’Unione e la Germania avevano bisogno non era una meta finale, ma un metodo di navigazione. Entrambe sono espressioni politiche ancora in fasce, hanno bisogno di crescere, di formarsi. La cancelliera lo ha capito.

Il suo è stato un modo di far politica pragmatico e moderno, che ben si adatta ai bisogni del presente. Negli ultimi 16 anni l’Unione europea e anche la Germania sono cambiate, sono cresciute, si sono incamminate verso un’indipendenza politica ed economica che nel 2005 sembrava impossibile. È stata una fortuna che in questo percorso al timone ci fosse una donna intelligentissima, scaltra, pragmatica e anche visionaria, che però ha lavorato sempre in sordina, senza sfarzo e pubblicità.

A differenza della signora Thatcher, prima donna a capo di un governo di peso europeo, che ha governato sotto i riflettori della stampa mondiale, la Merkel è riuscita a fare il suo lavoro come un dirigente della pubblica amministrazione, lontano dai riflettori ed esclusivamente al servizio dello stato. E questo le ha permesso di mantenere la fiducia dell’elettorato e il rispetto dei colleghi per 16 anni. Se ne va di sua propria volontà, senza una sconfitta elettorale dopo aver tracciato con costanza e determinazione i nuovi sentieri politici europei.

Ascesa al potere con una visione positiva dell’alleanza atlantica e dello stretto rapporto che correva tra Germania, Europa da una parte e Stati Uniti dall’altra, la Merkel ha cambiato progressivamente idea. Ha capito prima degli altri che Washington guardava sempre più al Pacifico e sempre meno all’Atlantico, è rimasta delusa da tutti gli uomini politici alla guida del paese, secondo i suoi assistenti considerava Obama verboso e poco solido, ha apertamente detestato Trump e ha duramente criticato Biden per il modo in cui ha ritirato le truppe dall’Afghanistan. Ha resistito alle ingerenze americane nelle questioni politiche tedesche ed europee, dall’isolamento della Russia alla politica apertamente antagonista con Pechino.

A differenza degli altri leader europei, la Merkel ha capito subito che contrastare la Cina serviva a ben poco, meglio perseguire un atteggiamento conciliatorio. In realtà la cancelliera nutre ammirazione per Pechino, anche se il sistema è progressivamente sempre più totalitario a suo parere funziona, mentre nel mondo libero ascendono al potere individui sempre meno brillanti e sempre più mediocri. Non dimentichiamo che la Merkel è nata oltre cortina ed è cresciuta in un regime comunista.

Negli ultimi anni, di fronte alla minaccia della pandemia e alla necessità dei lockdown, la cancelliera ha abbandonato la politica di austerità fiscale tanto cara ai tedeschi e ha lasciato che la Banca centrale stampasse euro per sostenere l’economia dell’Unione. Questa è stato un cambiamento stoico, l’ultima, preziosa sua eredità.

Ci sono stati anche errori: la cancelliera non è riuscita a tenere a bada Orban, l’apertura delle frontiere ai profughi siriani ha portato il caos lungo i confini dell’Unione, e che dire dell’umiliazione della Grecia? Ma sulla bilancia della politica degli ultimi 16 anni pesano molto di più i successi in sordina di questa politica che ha incarnato il ruolo vero del leader, quello di essere un pubblico ufficiale al servizio della propria nazione. Auguriamoci che chi la rimpiazzerà non solo continui a percorrere i tracciati politici da lei creati, ma faccia suo questo principio comportamentale.

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