Si erano visti recapitare un conto da 21 milioni di lire per una vacanza che doveva essere gratuita. Ora non dovranno più pagarlo e, anzi, potranno essere risarciti per 18mila euro. Con la sentenza di martedì 10 settembre, la Corte d’Appello di Bologna, in esecuzione di un pronunciamento della Corte di Cassazione, ha messo la parola fine sulla lunga vicenda giudiziaria che da 20 anni vedeva coinvolti due coniugi di Parma. Il tribunale ha infatti dichiarato nullo sia il contratto stipulato a loro insaputa con la società turistica che aveva organizzato il viaggio sia quello di finanziamento a suo tempo concluso con Finemiro Stile, oggi Intesa San Paolo, condannando la banca alla restituzione di 13.544 euro più interessi.

Tutto inizia nel 2001, quando la coppia viene invitata presso un albergo di Tabiano, in provincia di Parma, in quanto sorteggiata per una vacanza gratuita di una settimana. Una circostanza che sembra fortunata e alla quale si aggiunge altra fortuna: la possibilità di soggiornare presso le strutture di una catena di alberghi in tutto il modo, con una spesa di appena 75mila lire al giorno a testa per la mezza pensione. Nessun obbligo, nessun costo fisso, solo la richiesta di iscrizione a “Compass Club“, un club appunto affiliato alla Greenblu, la società che offre il soggiorno. Attirati dall’offerta, i due decidono di firmare ma in seguito vengono a sapere dalla figlia come stanno veramente le cose: rileggendo più approfonditamente il contratto e gli impegni in esso contenuti, la ragazza si accorge che tra questi figura l’obbligo di corrispondere la complessiva somma di 21 milioni di lire. Di fronte alla richiesta di spiegazioni, ai coniugi viene spiegato che non esiste alcun obbligo e che, se lo desiderano, possono recedere dal contratto entro 10 giorni. E così i due si attivano per farlo: peccato che, una volta recatisi fisicamente presso la sede della Greenblu, vengono informati di aver sottoscritto una dichiarazione vincolante con la conseguenza che, essendo già stato emesso il relativo certificato, il recesso costerebbe il 30% del prezzo, cioè 6 milioni di lire.

Non avendo i mezzi per pagare, i consumatori vengono convinti dalla stessa Greenblu a firmare una richiesta di finanziamento con la Finemiro Stile, che negli anni successivi diventerà prima Neos Finance e poi Intesa San Paolo Personal Finance. Quarantotto rate mensili dall’importo di 272,70 euro l’una: queste le condizioni cui viene sottoscritto il prestito. Parallelamente, la coppia si rivolge però all’avvocato Giovanni Franchi, presidente per l’Emilia-Romagna di Konsumer, un’associazione per la difesa dei diritti di consumatori e utenti: il legale cita in causa Greenblu e Finemiro Stile, sostenendo che il contratto di affiliazione alla società turistica sia nullo così come quello con la finanziaria, trattandosi di negozio connesso al precedente.

Inizia così nel 2002 la battaglia legale, che in un primo momento vede il Tribunale di Parma respingere la richiesta della coppia. Lo stesso accadde anche in sede d’appello davanti alla Corte felsinea e così i due consumatori decidono di procedere al successivo grado di giudizio. È da qui che si arriva, a 19 anni di distanza, al pronunciamento di quattro giorni fa, che ha ribaltato le sentenze precedenti accertando la nullità del contratto affiliazione a società turistiche e il legame tra questo e quello di finanziamento. Ca’ de Sass sarà quindi obbligata alla restituzione di quasi 18mila euro oltre alla spese processuali. “La sentenza conferma l’orientamento giurisprudenziale espresso da diverse altre sentenze dei Tribunali di Trieste, di Verona e di Parma, per le quali il contratto di finanziamento deve ritenersi strettamente connesso a quello di affiliazione al sistema turistico, con la conseguenza che dalla nullità di quest’ultimo discende anche la sua”, ha commentato Franchi.

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