Ho firmato, con altri, una lettera promossa da Peacelink e indirizzata al presidente del Consiglio Draghi, affinché si adoperi per la chiusura del famigerato campo di detenzione e tortura di Guantanamo. Tale campo fu istituito, com’è noto, dall’amministrazione Bush nell’ambito delle varie misure di ordine interno e internazionale che fecero seguito all’attacco di Al Qaeda alle Torri gemelle dell’11 settembre 2001.

Vari aspetti di quell’operazione rimangono tuttora oscuri, specie per quanto riguarda, come denunciato dai familiari delle vittime, i legami degli attentatori coll’establishment saudita, a sua volta collegato a settori importanti di quello statunitense. Quello che certo è che esso costituì il pretesto di una serie di violazioni senza precedenti del diritto, dando fra l’altro luogo all’invasione illegale dell’Afghanistan, che si è conclusa nel caos e nel sangue solo pochi giorni fa. Logica quindi vorrebbe che venisse posta fine immediata anche ad altri strascichi della cosiddetta guerra al terrore. Ma si sa che logica, intelligenza e ragionevolezza non abbondano certo nei cervelli di coloro che sono al potere, soprattutto in Occidente.

Non è più tempo di un Occidente arrogante e arroccato nella propria presunta superiorità, sia essa di natura morale o materiale. Ci vorrebbe un bagno d’umiltà e occorrerebbe che, dopo aver disseminato l’Afghanistan di vittime, molte delle quali dovute ai droni e ai bombardamenti degli Stati Uniti e dei loro alleati e dopo aver rinchiuso nella base di Guantanamo, colla sospensione di ogni garanzia giuridica, migliaia di cosiddetti “nemici combattenti”, molti dei quali senza prove e solo in base a denunce anonime in vari casi poi risultate infondate, gli Stati Uniti e l’Occidente rivedessero a fondo le proprie norme di comportamento.

In questa logica, la lettera in questione invita Draghi a chiedere “formalmente al Presidente degli Stati Uniti, Joe Biden, un gesto importante e altamente significativo come la chiusura della prigione di Guantanamo” e aggiunge significativamente che “Non si può essere credibili nel chiedere ai talebani il rispetto dei diritti umani se poi noi quel rispetto non lo chiediamo agli Stati Uniti”. Guantanamo infatti è “il simbolo odioso delle torture e degli abusi, in aperta violazione delle Convenzioni di Ginevra, compiuti in nome della lotta al terrorismo. Quell’orribile prigione, quella vergogna della storia non ha più alcun appiglio per restare in piedi”.

Molti sono in effetti gli insegnamenti che vanno tratti dalla terribile esperienza afghana. Uno dei principali, a mio avviso, è che democrazia e diritti umani non possono essere esportati colle armi. E’ necessario invece in primo luogo chiarire tali concetti in modo tale da renderli effettivamente universali e in secondo luogo rispettarli effettivamente a cominciare da casa propria in modo tale da affermarli a partire dalla forza dell’esempio e della coerenza. Il mantenimento dell’obbrobbrio di Guantanamo va in direzione diametralmente opposta a tale esigenza.

Pur non essendo stato mai, al contrario di molti altri, giornalisti, politici e funzionari, un fan incondizionato di Mario Draghi, ritengo tuttavia che egli disponga, quantomeno in astratto, dell’esperienza e del raziocinio necessari a comprendere ciò che il fallimento sanguinoso della spedizione afghana, nella quale l’Italia è stata purtroppo coinvolta a pieno titolo, ha squadernato di fronte al mondo intero, e cioè la necessità di procedere a un immediato cambiamento di rotta nella conduzione delle relazioni internazionali.

Fra l’altro Draghi ha tratto idonee conclusioni dalla disfatta afghana, rilanciando opportunamente il dialogo con Cina e Russia nell’ambito del G-20, mentre alcuni politici facenti parte della sua coalizione starnazzavano ridicolmente per invocare il proseguimento delle ostilità. Posizione tanto più folle e ridicola in quanto proveniente da personaggi che stanno sul libro paga delle monarchie assolutiste e fondamentaliste della Penisola arabica che hanno sempre costituito il sostegno dei Talebani.

Tristezze del provincialismo politico italiota e dei suoi guitti a parte, sarebbe finalmente ora che la parte più intelligente della nostra non eccellente classe politica si facesse finalmente carico, specialmente di fronte al disastro afghano ma anche all’incalzare dei problemi globali, di un approccio finalmente innovativo e differente nei confronti della comunità internazionale e di quella europea più in particolare.

Il rispetto dei diritti umani è parte integrante di tale approccio innovativo, a condizione di non intenderlo come pretesto per ingerenze e avventure militari, ma di prenderlo interamente e profondamente sul serio. La chiusura di Guantanamo e la restituzione del suo territorio, abusivamente usurpato dagli Stati Uniti e sottratto con un trattato ineguale al legittimo sovrano, che è lo Stato cubano, potrebbero costituire dei primi passi preliminari nella giusta direzione. Draghi e Di Maio dovrebbero darsi da fare in tale direzione, ma lo faranno?

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