Roma d’estate è sempre surreale: uno scenario unico al mondo, vestigia maestose che si stagliano come epifanie improvvise, apparizioni atemporali nel desertico panorama urbano. Negli ultimi mesi, tra l’atmosfera pre-apocalittica indotta dalla pandemia e le varianti offerte dalla decadenza contemporanea, quali scorribande di cinghiali tra autobus in fiamme e ratti in esposizione nelle vetrine degli alimentari del centro storico, la Capitale è divenuta un vero e proprio teatro surrealista a cielo aperto.

È, dunque, apparso più che pertinente l’omaggio ad Alfred Jarry offerto al Teatro Argentina dal regista Fabio Cherstich. Una versione di Ubu Re che, grazie anche alla stupenda scenografia ideata da Luigi Serafini (apprezzatissimo per le illustrazioni del libro di culto Codex Seraphinianus), rende giustizia all’opera che ispirò i Surrealisti e il Teatro dell’Assurdo.

Non era una sfida facile: affrontare un mostro sacro della dissacrazione può essere un cimento rischiosissimo. Per rappresentare la sublime insensatezza della patafisica bisogna averne ben presente il profondo senso filosofico. Centrata l’intuizione di Massimo Andrei di interpretare il personaggio, quintessenza grottesca dell’avidità di potere, come un Pulcinella osceno (del resto, Jarry nel testo evoca la maschera napoletana). Degna di nota anche l’interpretazione di Madre Ubu, rovescio parodistico di Lady Macbeth, da parte di Gea Martire, la versatilità sempre sorprendente di Marco Cavalcoli (il Re/pollo), la sfrontatezza di Francesco Russo in Capitan Bordure, e le acrobazie circensi di Julien Lambert, che incarna Jarry stesso negli episodi più meravigliosamente folli della sua biografia.

Uno degli spettacoli più riusciti visti negli ultimi anni al Teatro Argentina, con uno spirito folle e avanguardista che il cartellone del Teatro di Roma solitamente avrebbe relegato al Teatro India. E proprio negli spazi antistanti a quest’ultimo, il Bar India ha offerto una programmazione sempre molto interessante durante tutta l’estate, nella quale spiccano i memorabili dj set di Stefano Di Trapani, in arte Demented Burrocacao (autore di un bellissimo libro dedicato alle sigle dei cartoni animati, Si trasforma in un raggio missile).

La serie di serate si chiama significativamente Italian Folgorati, dal nome di una sua storica rubrica su Vice in cui esplora, con rigore filologico da talmudista, gli anfratti più oscuri e illuminanti del pop italiano. In queste lunghe ore di ascolto, Demented estasia il pubblico reinterpretando con la sua mimica irresistibile tutte le gemme, talvolta introvabili (Shazam spesso si arrende alla rarità delle scelte), della sua programmazione: dai deliri mistici di Giuni Russo al vituperio entusiasmante di Giacomo De Martino, dai primissimi Pooh in piena sperimentazione prog ai brani più oscuri di Renato Zero o Lucio Battisti, passando per autori quali Pino D’Angiò, Alfredo Cohen, Alberto Camerini.

E sempre a Di Trapani (stavolta come membro della band) è legato il concerto, forse, più affascinante a cui abbiamo assistito quest’estate, sempre al Bar India: quello dei Salò, progetto nato per una mostra di Emiliano Maggi, ispirato all’opera sadiana di Pasolini, con un’allusione al paradosso storico ben descritto dalla canzone di De Gregori dedicata al cuoco della Repubblica Sociale: nelle parole del gruppo, “un eterno teatrino delle atrocità che sembra non voler aver fine”. I Salò entrano in scena mascherati, in costumi tardo-medioevali, a metà tra menestrelli satanici e medici della peste, incarnando un immaginario composto da processi alle streghe, magia alchemica rinascimentale, stornelli licenziosi e (come da loro riferitoci) “la decadenza, la decomposizione, le creature fantastiche e asessuate dei boschi”.

Non a caso, il gruppo è collegato alla casa editrice Nero Editions. L’effetto dal vivo è quello di un sabba giocoso: l’ossessione di una doppia sezione percussiva, i testi inglesi inquietanti come grimori declamati al contrario, chitarre e tastiere che suonano come assoli dei Goblin ascoltati a velocità distorta, tutto fa pensare di assistere all’esibizione di spettri apparsi direttamente dall’inferno. Il supergruppo (con una definizione cara al pop italico) è composto (oltre ai già citati Di Trapani e Maggi, il quale ha creato il potente apparato estetico del progetto) da Giacomo Mancini, Toni Cutrone e Cosimo Damiano.

Seguite la loro pagina Instagram, sono tra le realtà più affascinanti e suggestive del panorama musicale italiano contemporaneo.

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