Nella guerra al terrore si è combattuto di tutto, tranne l’ideologia che sta alla base della forza dei talebani. Bisognerebbe partire da questa considerazione per comprendere come qualche decina di migliaia di uomini sia riuscita a sconfiggere un esercito meglio armato e più numeroso senza troppi sforzi.

Si sono investiti miliardi nell’arco di questi venti anni per la creazione di forze locali, addestrate e armate per prendere il controllo del paese nell’ora x, in cui i militari stranieri se ne sarebbero tornati a casa loro. Quel giorno, poi arrivato, sarebbe stato di giubilo per gli anti imperialisti che erano contro la guerra afghana. Sembra ancora di sentirli quando gridavano, anche nelle piazze italiane, “no alla guerra, sì alla vita” senza proporre una soluzione concreta e alternativa a quella di Bush. Gli stessi, venti anni dopo, condannano il ritiro delle truppe occidentali dal paese.

È un cortocircuito ideologico che fa parte di una epoca in cui manca una analisi seria e si fa politica per slogan. Oggi i talebani hanno ripreso il controllo del paese, offrono (almeno a dichiarazioni) stabilità e diritti per le donne che dovranno attenersi alla legge islamica della sharia, che è suscettibile di interpretazione in base al Mullah che la formula. Sono diventati pragmatici e, forse, convinti da qualche funzionario iraniano, sognano di trasformare il paese in uno stato teocratico come quello costruito da Khomeini.

I presupposti ci sono tutti: iraniani, russi e cinesi sembrano pronti a riconoscerli, dando loro legittimità. Questo significa che per alcuni Stati i talebani non sarebbero più un gruppo terroristico ma un attore internazionale con cui dialogare. Hanno la maggioranza dei consensi nel paese? È difficile dirlo, ma è significativo che la loro marcia verso Kabul sia partita dai centri rurali. “Noi rappresentiamo l’Islam, siamo qui per ridare la stabilità che gli stranieri ci hanno rubato” hanno propagandato fra i miserabili e i poveri del paese. E quando manca una unità nazionale, un senso di appartenenza, l’Islam, la religione, diventa il collante (lo abbiamo visto in Siria e Iraq).

Il proselitismo funziona così e nella povertà delle aree rurali, lasciate fuori dai progetti della cooperazione internazionale, la dialettica modernizzata dei talebani ha fatto breccia. Inutile oggi dare le colpe al solito Occidente, imputato di ogni cosa. Bisogna fermarsi e riflettere sul perché le nostre classi politiche non abbiano capito che bisognava “fare gli afghani”, non gettare miliardi nel buco nero di uno sviluppo dedicato solo alle élite.

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