Non so quale piacere si provi nel pubblicare la foto dei propri figli sui social per il semplice fatto che non ho figli. Quindi predico, in qualche modo, senza appartenere alla categoria; senza essere genitore. Qualcuno dirà – lo so – senza averne diritto: “Tu non puoi capire” eccetera eccetera.

Ho usato la parola “piacere” non a caso. Da osservatore, quando vedo amici e conoscenti che espongono le immagini di neonati e bambini su Facebook o Instagram, non vedo nient’altro che la soddisfazione di un piacere personale. Il proprio piacere personale, naturalmente. Il buon Abraham Maslow collocherebbe tale soddisfazione, nella piramide che porta il suo nome, tra il terzo e il quarto gradino: bisogno di appartenenza a una comunità e bisogno di stima sociale. Tradotto in termini più prosastici: fare come fanno gli altri per non sentirsi esclusi; e ottenere like, cioè approvazione.

In tutto ciò – a me sembra evidente – non c’è spazio per il minore inteso come persona che gode di diritti (il diritto a vedere tutelata la propria immagine, il diritto alla privacy…). Anche se i genitori agiscono, nel 99% delle volte, in buona fede, in un certo senso – prendendo in prestito la dottrina kantiana sull’etica, che trovo semplice ed efficace – il minore non è mai trattato come fine, ma come mezzo. Se mi metto nei panni del minore – e mi riferisco specialmente a bambini piccoli e piccolissimi – non trovo una sola valida ragione per pubblicarne la foto sui social. A meno che non lo si faccia per denaro, come fanno vip e influencer. Ma questo è un altro discorso (ed è un discorso utilitaristico).

I rischi legati alla diffusione delle immagini sono tanti. Per Eurispes, che ha redatto il report “Figli della rete: l’esposizione dei nostri figli online su Instagram”, i minori vengono esposti “all’ingegneria sociale finalizzata all’adescamento da parte di persone malintenzionate. Pubblicare dettagli di vita privata sui social rappresenta un’arma in più per chi” li “avvicina con l’intento di guadagnare la loro fiducia attraverso una finta conoscenza dei parenti”. In più c’è il rischio che “le immagini finiscano nei circuiti pedofili, tramite fotomontaggi o addirittura video di tipo deep fake” e “all’interno di piattaforme di riconoscimento facciale che utilizzano una mole impressionante di dati per poter affinare i loro sistemi di intelligenza artificiale basati sul machine learning”. A proposito di pedopornografia online: i casi, in Italia, nel primo trimestre del 2021 sono cresciuti del 232%.

C’è poi l’aspetto, sconfinato, che attiene alla psicologia del minore. Cosa accadrà quando, guadagnata una maggiore consapevolezza, scoprirà che da anni, su una serie di piattaforme a cui tutti potenzialmente hanno accesso, circolano decine di immagini private che lo riguardano?

Cari genitori che state sui social, non chiedetevi che effetto farebbe su di voi sapere che una vostra foto da piccoli è alla mercé di tutti. Domandatevi piuttosto se sia giusto esporre un minore – vostra figlia o vostro figlio – ai rischi di cui sopra.

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