Quando a pochi mesi dal suo quarto compleanno, Imad Dalil, ha lasciato Fquih Ben Salah, una città ai piedi del Medio Atlante, in Marocco, non immaginava certo che quello sarebbe stato un viaggio così lungo in grado di cambiare per sempre la sua vita. Dal cuore del Paese nordafricano verso l’Italia e l’Abruzzo, in una zona tutto sommato simile, a L’Aquila, per raggiungere suo padre che in Italia c’era arrivato meno di dieci anni prima grazie a una sanatoria e ci lavorava. Oggi Imad Dalil ha 36 anni e da una decina di giorni è diventato il primo straniero e migrante a essere nominato direttore di un Hotspot in Italia, quello di Taranto.

Dopo aver studiato e lavorato come mediatore tra Abruzzo e Puglia, ora il coronamento di un sogno professionale: “La mia carriera ha raggiunto un apice importante, per me è motivo d’orgoglio dirigere una struttura del genere, un pezzo del sistema Paese sul fronte della risposta alla questione migratoria. Quando da prefettura e questura di Taranto è arrivato l’avallo alla scelta presa dall’ente gestore per cui lavoro ho provato una grandissima soddisfazione. Vero, era il mio sogno, sin da quando, finite le superiori, ho intrapreso un corso di mediazione linguistica all’Università de L’Aquila per poi frequentare un corso di formazione per la gestione dei servizi per l’immigrazione.

In testa avevo questo obiettivo e adesso l’ho raggiunto”. Imad è arrivato in Italia alla fine degli anni ’80 e ha seguito tutto il percorso di studi, dalle elementari fino alla laurea. Sposato e con due figli, Dalil, che parla cinque lingue (arabo, francese, inglese, spagnolo e italiano) dopo gli studi è passato alla pratica. Nel 2011 lo shock delle Primavere Arabe e le conseguenze migratorie: “Mentre ero ancora all’università ho iniziato a lavorare come mediatore in questura a L’Aquila, poi alla fine del 2010 mi sono trasferito nel centro di accoglienza di Manduria, in Puglia – aggiunge Dalil -.

Con le rivolte in nord Africa e in Siria i flussi migratori sono aumentati e l’Italia è stato uno dei Paesi più interessati dal fenomeno. Ho assistito sulla mia pelle a un autentico boom del fenomeno. Ne arrivavano a migliaia di migranti nella tendopoli di Manduria, in alcuni periodi non si riusciva ad affrontare l’urto di una situazione del genere. È lì che mi sono fatto le ossa. Successivamente ho lavorato in altri centri, da Brindisi dove ho svolto anche il ruolo di informatore legale per i migranti, senza dimenticare le esperienze negli Sprar e nei Cas sempre in Puglia. Tutto questo fino al 2018, poi sono passato all’Hotspot di Taranto dove adesso sono il direttore”. Quello di Taranto è l’unico centro della penisola visto che gli altri tre ancora attivi sono tutti in Sicilia, a Trapani e Pozzallo, e a Lampedusa.

Nei quindici anni di lavoro sul campo Imad Dalil si è creato un bagaglio di esperienza importante: “Sono più di dieci anni che opero nel settore immigrazione e ancora oggi sento parlare di ‘emergenza’. Il problema dell’Italia è sempre lo stesso, dover lavorare in emergenza quando, al contrario, il fenomeno dovrebbe essere ormai gestibile. Manca la pianificazione, la politica dei flussi è solo su base stagionale e le alternative alla fine dei sei mesi sono due: tornare in patria o entrare in clandestinità, ossia ciò che accade puntualmente”. Per Dalil la soluzione principale è una: “Potenziare la politica dei resettlement – spiega il neodirettore dell’Hotspot di Taranto – , investire sui Corridoi Umanitari. L’Unione Europea lo ha capito, ma l’applicazione nei vari Paesi non è partita in maniera vigorosa”.

Poi una dura e condivisibile critica sulla narrazione del fenomeno migratorio: “I cimiteri del mare sono una tragedia epocale, ma non esiste solo quel tipo di racconto. Forse conviene all’Italia e agli italiani vedere solo quel fenomeno, forse facciamo finta di non sapere cosa accade a terra, in Africa come in Asia e Medio oriente e lungo la rotta balcanica. Migranti trattati come schiavi, le violenze in Libia, i soprusi in Turchia, morti che nessuno piangerà. Come si dice, ‘lontano dagli occhi, lontano dal cuore’, da noi sembra che le sole vittime siano quelle del Canale di Sicilia, ma purtroppo non è così”.

E Imad Dalil di persone, nuclei familiari e singoli, che l’inferno lo hanno vissuto sulla loro pelle lungo la strada della speranza ne ha viste e incontrate tante: “Storie drammatiche, di chi ha rischiato più volte la vita per avere un futuro migliore. La mamma con sei figli minorenni, la più grande aveva 16 anni, fuggita dal suo Paese nel sud Sahara e arrivata in Italia dopo l’incubo e la paura in Niger, Algeria e Libia. È passata qui, si è aperta, ha preso fiducia e ha raccontato. Oggi vive in Germania e fa la mediatrice linguistica. Oppure una agiata famiglia siriana, borghese quasi, ostile al regime di Assad e dunque costretta a scappare. Il padre dalla Siria, attraverso la Turchia e le isole greche fino in Italia ha portato in braccio e sulle spalle la figlia di 10 anni con grave disabilità. Oggi stanno bene e vivono in Austria. Due storie a lieto fine in rappresentanza di tutti i migranti, i veri eroi”.

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