Prestante, occhi neri da napoletano passionale, voce di tenore timbrata e penetrante – il suo punto di forza –, magnetica presenza scenica: questo fu Enrico Caruso, trionfatore nei teatri italiani e del mondo, dall’Italia agli Stati Uniti, dal Sudamerica all’Egitto alla Russia. Era nato il 25 febbraio 1873, da una famiglia del popolo. Ebbe una formazione musicale più da dilettante che da professionista: cantava nelle chiese, nei salotti; lo studio serio, severo, rigoroso venne in seguito e portò a maturazione le enormi doti naturali, conferendo al giovane artista tecnica e stile inconfondibili.

Debuttò nei teatri di Napoli e Caserta fra il 1895 e il 97 in un repertorio a lui congeniale, che spaziava dal verismo della Cavalleria rusticana di Mascagni e dei Pagliacci di Leoncavallo ai francesi Bizet e Gounod con Carmen e Faust, alla Traviata e al Rigoletto di Verdi, fino a Donizetti e Bellini con La favorita e I Capuleti e i Montecchi. Nell’inverno 1898-99 fu il primo tenore nella compagnia italiana a Pietroburgo e Mosca.

Non mancò neppure l’amore. Arriva nel 1897 e ha un nome: Ada Giachetti Botti, cantante anche lei. E qui si estrinseca il Caruso appassionato sì, ma ancorato a sentimenti forti, tradizionali. I due rimasero insieme undici anni, ebbero quattro figli, solo due sopravvissero. Si separarono nel 1908 con strascichi legali dolorosi, perfin squallidi. Solo cinque anni prima erano partiti per New York. Il debutto di Enrico al Metropolitan fu il punto di svolta di una fulgida carriera: totalizzò un numero impressionante di recite, più di seicento in 17 stagioni, in un repertorio vastissimo, impegnato anche a fianco di Arturo Toscanini: furono insieme, tra l’altro, nella ‘prima’ mondiale della Fanciulla del West di Puccini, 1910.

Il lavoro non ha soste: anche in altre città degli States il nome suscita l’entusiasmo di un pubblico numeroso, attratto anche dalle incisioni fonografiche realizzate a partire dal 1902, su un mercato proprio allora in espansione. Caruso diventa un mito. Molte, in contemporanea, le tournées nelle metropoli europee, Londra, Parigi, Praga, Francoforte, Monaco di Baviera, Stoccarda, Milano, spesso in compagnie di prim’ordine.

Il giovane meridionale, emigrante di lusso, vive ora da cosmopolita. Continua però a portare un pezzo d’Italia con sé: oltre l’opera lirica, esegue canzoni e romanze italiane, nelle quali effonde tutto il calore del sentimento partenopeo. Prima di trasferirsi a New York, sollecitato da Ada, aveva comprato in Italia una dimora sontuosa, la cinquecentesca villa di Bellosguardo, a Lastra a Signa, vicino Firenze. Oggi è diventata una casa-museo, custodisce documenti e cimeli presentati ai visitatori sia al naturale sia con le nuove tecnologie. Caruso viene evocato attraverso immagini che lo rappresentano nelle diverse tappe della carriera, con i suoi disegni (era un abile caricaturista), gli oggetti personali, le onorificenze, i dischi che conservano la traccia della sua voce.

Il 1918 è un anno importante nella biografia dell’artista, sul piano professionale e su quello umano. Al Metropolitan affronta tre opere nuove per lui, due capisaldi della drammaturgia musicale francese, Il profeta di Meyerbeer e Sansone e Dalila di Saint-Saëns, nonché La forza del destino di Verdi. In più, per la Famous Players Lasky Corporation, si misura col cinema, nelle due sole pellicole della sua carriera, My Cousin e The Splendid Romance. Il 20 agosto sposò una giovane, Dorothy Benjamin; l’anno dopo nacque Gloria. La salute intanto peggiorava. Continuò a cantare nonostante le difficoltà, ma dovette sottoporsi a interventi chirurgici. Nella primavera 1921 tornò in Italia, andò a Sorrento, sembrò quasi migliorare, come se l’aria della patria gli avesse dato forza. Ma solo per poco. Trasportato a Napoli, chiuse gli occhi il 2 agosto: aveva 48 anni.

A Napoli il 2 agosto del 2021, a un secolo dalla sua dipartita, nell’abitazione dove egli nacque, viene inaugurato il Museo Casa Natale. L’edificio, acquistato da un gioielliere del quartiere, Lello Reale, esporrà documenti e cimeli, in parte procurati dal commendatore Aldo Mancusi, che già nel 1989 a Brooklyn ha costituito l’Enrico Caruso Museum of America. Molti musei, dunque, per un artista assurto alla celebrità planetaria in un’arte straordinaria e impalpabile, il canto, che non si può esporre in bacheca, ma si deve ricercare in varie testimonianze pervenute, in primis quelle fonografiche.

L’arte di Caruso ha trovato – caso raro per un divo del canto lirico – un’affascinante reviviscenza nella canzone di Lucio Dalla, che traccia un commovente profilo poetico e canoro del suo addio alla vita e della sua capacità di amare sullo sfondo della natura incantata di Sorrento: “Lì dove il mare luccica | e tira forte il vento | su una vecchia terrazza | davanti al golfo di Surriento | un uomo abbraccia una ragazza | dopo che aveva pianto | poi si schiarisce la voce | e ricomincia il canto: | Te voglio bene assaje | ma tanto tanto bene sai | è una catena ormai | che scioglie il sangue dint’ ’e ’vvene sai”…

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