La scomparsa di Roberto Calasso, intellettuale la cui rara vastità di conoscenza era pari solo al fascino esoterico del suo stile vertiginoso, proprietario e direttore della casa editrice Adelphi, oggetto di culto decennale da parte di milioni di lettori in tutto il mondo non solo per l’eccellente qualità del suo catalogo ma per la visione filosofica che ne ispirava i criteri, ha destato nel mondo culturale italiano una serie di omaggi sinceri quanto approfonditi.
Nel breve spazio di queste colonne, non posso affrontare l’importanza capitale dell’opera di Calasso sia come autore che come editore (rimando all’attenta analisi di Federico De Vita), vorrei solo esprimere la mia più profonda gratitudine all’uomo che (assieme a Roberto Blazen e Luciano Foà) ha di fatto pubblicato tutti i libri che mi hanno cambiato l’esistenza. So di non essere l’unico a provare lo stesso sentimento per il medesimo motivo.

Se mi fermo un attimo a pensare a tutti i testi formativi della mia crescita intellettuale, dall’adolescenza a oggi, sono praticamente tutti Adelphi: in primo luogo, l’epocale opera omnia di Friedrich Nietzsche, curata da Colli e Montinari, che spazzò via grazie a un lavoro filologico straordinario mezzo secolo di etichette ideologiche deformanti e calunniose sull’autore di Così parlò Zarathustra, restituendo di fatto al mondo il pensiero del più influente filosofo degli ultimi due secoli; il saggio fondamentale Le porte regali di Pavel Florenskij, la cui storica traduzione di Elémire Zolla fu la prima a livello mondiale del geniale teologo e matematico morto nei gulag; la Lettera a un religioso di Simone Weil, sorta di mio personale vangelo laico dell’adolescenza; la prosa benedetta da una musicalità angelica di Cristina Campo nei saggi raccolti nel volume Gli Imperdonabili; la sapienza gnostica e apocalittica di Guido Ceronetti, da Il silenzio del Corpo a I Pensieri del Tè; la traduzione, sempre dello stesso Ceronetti (e soprattutto la relativa introduzione) del Cantico dei Cantici.

Poi la sublime Bhagavad Gita in un’edizione scevra da derive settarie; le visioni incendiarie dell’Eliogabalo di Artaud o del suo saggio su Van Gogh, il suicidato della società; La persuasione e la rettorica, la folgorante tesi di laurea di Carlo Michelstaedter, suicida subito dopo averla conclusa; l’allegoria memorabile e incompiuta de Il Monte Analogo di René Daumal; Pinocchio, un libro parallelo, saggio paradossale e rivelatore di Giorgio Manganelli sull’opera di Collodi; e poi le innumerevoli ore e ore di letture esaltanti, dalla visione post-apocalittica de La nube purpurea di Shiel alle numerose raccolte di aforismi di Arthur Schopenhauer, i saggi dottissimi di Robert Darnton o Benedetta Craveri, quelli cruciali su Nietzsche di Colli e Klossowski, le vertigini di Douglas Hofstadter in Gödel, Escher, Bach: un’eterna ghirlanda brillante, l’iniziazione vera e propria rappresentata da testi come Il mulino di Amleto di Giorgio De Santillana e Hertha von Dechend, I mistici dell’Occidente di Zolla o Incontri con uomini straordinari di Gurdjieff.

E centinaia di altri libri, quasi tutti portali di meraviglia o, se qualche volta ti diceva male, quanto meno interessanti.
E poi, tra i libri che hanno plasmato la mia educazione intellettuale, in perenne divenire, non posso non includere proprio quelli di Roberto Calasso: un uomo in grado, con consapevole sprezzatura, di affrontare i temi più vasti e abissali, dai Veda (L’ardore) al mito greco (Le nozze di Cadmo e Armonia), da Kafka (K.) a Baudelaire (il bellissimo La Folie Baudelaire), dalla Bibbia (Il libro di tutti i libri) al concetto stesso di sacrificio (La rovina di Kasch, e non solo).

Il giorno prima dell’annuncio della sua morte sono usciti due ultimi suoi libri: Bobi, dedicato alla figura di Robert Blazen (amico, mentore e ispiratore del progetto Adelphi) e Memè Scianca, suo giocoso pseudonimo, che racconta la sua infanzia straordinaria, all’ombra di figure storiche negli anni tragici e gloriosi della Seconda guerra mondiale e della Resistenza.
Forse solo David Bowie, negli anni recenti, ha affrontato la morte con la stessa suprema eleganza. Calasso ha chiuso perfettamente il cerchio della sua esistenza, dedicando il primo libro all’incontro fondamentale della sua giovinezza, il secondo ai suoi due figli.
Come un saggio orientale, ha saldato i conti col passato e ha consegnato le chiavi della sua conoscenza al futuro, prima del commiato da questo luminoso passaggio terreno.
Grazie per sempre.

Articolo Precedente

Andrea Scanzi vince il Premio Jema “Personalità della Cultura, del Giornalismo e dello Spettacolo”

next
Articolo Successivo

Il tenorissimo Enrico Caruso, il primo influencer del ‘900. Al via le celebrazioni nel centenario della sua morte

next