Non solo ori, argenti e bronzi: ai Giochi di Tokyo 2021 l’Italia ha collezionato anche una “figuraccia olimpica”. In questi primi giorni di Olimpiade la spedizione italiana si è beccata una censura formale dal Cio, per un caso imbarazzante che ha coinvolto loro malgrado proprio i due portabandiera, Jessica Rossi ed Elia Viviani. Colpa di qualche “imprudenzagiornalistica, tanto grave da configurare una violazione della carta olimpica. Della carta olimpica in Italia si è parlato tanto per l’articolo 26 sull’autonomia del Coni che la riforma dello sport avrebbe violato (almeno, così sostenevano Malagò e i suoi amici del Cio), tanto da costringere il governo a fare un passo indietro e svuotarla con il cosiddetto “decreto Salva-Coni. Ma il documento è lungo, comprende tanti altri articoli, compreso il n.48 in cui è incappata la spedizione italiana a Tokyo. È quello che regola la copertura mediatica dell’evento e recita: “Soltanto le persone accreditate come giornalisti possono svolgere attività giornalistica. In nessun’altra circostanza atleti, allenatori o altri partecipanti della squadra possono svolgere attività giornalistica”. Sembra un’ovvietà, invece l’Italia è riuscita violarla per ben quattro volte in poche ore. Tanto da portare il Cio, che la carta la prende terribilmente sul serio, a intervenire e richiamare il Coni.

Negli ultimi giorni sono apparsi su quotidiani italiani dei contributi firmati direttamente da alcuni protagonisti azzurri. Una lettera del ct del ciclismo Davide Cassani su Il Giornale, una testimonianza dell’allenatore di scherma Sandro Cuomo su La Gazzetta dello Sport, e poi sempre sulle pagine della rosea il racconto della cerimonia di apertura in prima persona da parte dei portabandiera Jessica Rossi ed Elia Viviani. Un bel colpo per i giornali che li hanno ospitati, che potevano fregiarsi di un contributo originale delle stelle azzurre. Se solo le regole lo avessero permesso. E, soprattutto, se fossero stati autentici.

La vicenda era già di per sé imbarazzante ma, caso nel caso, dopo il richiamo formale del Cio sono emersi i dubbi sulla paternità di alcuni degli scritti. Nulla da dire sui due tecnici. Cassani è noto per avere un filo diretto con gli appassionati, ha sempre raccontato in prima persona le sue esperienze da ct (in virtù anche dei suoi precedenti da commentatore), solo doveva ricordarsi di non farlo alle Olimpiadi. Un peccato di ingenuità, come quello del ct Cuomo della scherma. In seguito alle verifiche, invece, è venuto fuori che i due atleti non avevano firmato nulla. Le loro parole, effettivamente rilasciate dopo la cerimonia, sono state impacchettate e pubblicate su La Gazzetta a loro firma, come fosse un contenuto originale (e la cosa è ben diversa, soprattutto per il Cio). Da chi e perché esattamente non si sa, pare non per iniziativa degli inviati in Giappone, che si erano limitati a fare il loro lavoro di cronisti. Sta di fatto che la circostanza ha suscitato un polverone (e non è nemmeno la prima volta, c’era stato un precedente ai Giochi invernali di Pyongchang, con un altro quotidiano di primo piano).

Il Cio se l’è presa col Coni, visto che il Comitato olimpico è l’unico interlocutore dei vertici mondiali e risponde di tutto ciò che riguarda la spedizione italiana. Il Coni ha chiesto conto spiegazioni formali ai diretti interessati, col rischio di stracciare gli accrediti. Persino gli atleti, che per violazioni del genere sono passibili di sanzioni fino addirittura all’esclusione, sono furiosi (in particolare Jessica Rossi, che ora non vuole più parlare ai giornalisti). E La Gazzetta alla fine è stata costretta a scusarsi, e anche a pubblicare una auto-smentita per rimediare alla gaffe: “Abbiamo riportato esattamente le loro parole, raccolte dai nostri inviati ai Giochi di Tokyo, ma non hanno effettivamente scritto loro”. Il caso è chiuso, la figuraccia olimpica pure.

Twitter: @lVendemiale

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