In Libia manca tutto. Manca l’acqua. Manca la corrente elettrica, con la luce che tutti giorni salta anche per otto, dieci ore. Ci sono, d’estate, i canonici 40 gradi all’ombra, ma senza corrente non funzionano nemmeno i condizionatori. Eppure, nel 2018, una lettera di credito del valore di 490 milioni di dollari è stata emessa proprio per acquistare all’estero delle turbine per generare elettricità che avrebbero aiutato a risolvere il problema, ma la situazione non è cambiata. Secondo un report di Global Witness, organizzazione non governativa che si occupa di corruzione e diritti umani, i soldi della lettera di credito sono stati dirottati sui conti correnti di una società emiratina costituita poco prima e dal nome quasi perfettamente identico a quello dell’appaltatore originale.

Nel 2015, l’autorità per l’energia della Libia orientale Gaerel ha concluso un contratto di quasi 490 milioni di dollari con l’appaltatore statunitense-sudafricano USP&E, il quale avrebbe consegnato, installato e fornito formazione per 15 turbine a gas da 25 Mw. Quando nel 2018 è stata emessa la lettera di credito in favore di questo progetto, tuttavia, l’accordo si presentava molto diverso. Secondo un emendamento del 2017, USP&E avrebbe consegnato tre turbine Siemens SGT800 per poco più di 166 milioni di dinari libici (circa 118 milioni di dollari). Nel 2018, la lettera di credito è andata a una società chiamata USPE-LY con sede a Ras El Khaimah, negli Emirati Arabi Uniti. Nonostante il nome quasi identico, USPE-LY non faceva e non fa parte della società USP&E. Era in realtà di proprietà di Jan Herre e Omar Allam, due ex rappresentanti di USP&E che hanno contribuito a negoziare l’accordo del 2015, ma con cui USP&E ha tagliato i ponti nel 2016. Eppure, sembra che nessuno si sia accorto del cambiamento del nome della società parte del contratto fino al 2019, quando il denaro pubblico ha cominciato ad essere erogato in base alla lettera di credito. Secondo Global Witness, diverse autorità libiche hanno approvato il passaggio alle turbine Siemens, non riconoscendo neanche che USP&E e USPE-LY fossero società diverse. La società USP&E ha dichiarato che quell’emendamento al contratto effettuato nel 2017 è stato negoziato in maniera fraudolenta e senza la sua approvazione. Secondo alcune fonti di Global Witness, però, proprio la Banca Centrale libica ha avuto un ruolo attivo nella rinegoziazione contrattuale incriminata.

Il raggiungimento della piena stabilità della Libia sembra essere ancora un miraggio, soprattutto perché alcuni nodi non vengono sciolti, uno fra tutti, quello della corruzione, problema che si riesce a toccare con mano in meccanismi come quello delle lettere di credito e che ha delle pesanti ricadute sul piano della sicurezza interna. “Le milizie controllano le filiali di alcune banche. Lo puoi vedere dal flusso di denaro – dice una fonte a Ilfattoquotidiano.it – Più è grande la quantità di denaro in lettere di credito che passa in quella determinata filiale, più è probabile che quella sia controllata dalle milizie. E non è un caso che queste filiali solitamente si trovino in periferia. Lì c’è meno controllo”.

Ma il problema dell’abuso delle lettere di credito è atavico in Libia. “É dal 2016 che chiediamo alle autorità libiche di creare un sistema più trasparente e controllato, ma, evidentemente, non c’è mai stata la volontà politica di farlo. Se sei nella Banca Centrale o nel governo e hai persone che stanno facendo un sacco di soldi attraverso un sistema criminale, cambiarlo è davvero difficile, perché faranno tutto quello che possono per fermarti, incluso potenzialmente liberarsi di te”, spiega a Ilfattoquotidiano.it Jonathan Winer, ex inviato speciale degli Stati Uniti per la Libia dal 2013 al 2017.

Il sistema delle lettere di credito è indispensabile per la Libia. É un meccanismo, infatti, che consente alle imprese libiche e agli enti pubblici di accedere al mercato estero, usufruendo di valuta straniera, per effettuare importazioni di beni, come generi alimentari e medicine, altrimenti irreperibili nel Paese. Ogni anno vengono distribuiti circa 9 miliardi di valuta estera tra settore pubblico e privato. Confrontando però i dati delle lettere di credito del 2021 con quelli delle importazioni del 2019 che sono stati resi pubblici, è evidente come il denaro sia uscito in quantità maggiori rispetto alle merci che sono entrate nel Paese.

Su decisione della Banca Centrale libica, dal 2012, ogni banca commerciale del Paese può concedere lettere di credito. Il giro che il denaro fa è semplice. La Banca centrale libica emette una lettera di credito che poi comunica alla banca commerciale corrispondente all’estero che, a questo punto, dovrebbe teoricamente effettuare la transazione in valuta estera al posto dell’ente pubblico o dell’azienda privata libica che, in questo modo, può importare una certa merce. La verità, però, è terribilmente diversa. Nel report di Global Witness, si analizza il percorso che il denaro delle lettere di credito fa, partendo dalla Banca Centrale libica fino ad arrivare alle banche corrispondenti nel cuore di Londra, mettendo in evidenza come, fra norme di due diligence forse non molto efficaci in materia di antiriciclaggio e antiterrorismo e conflitto di interessi nella scelta di specifiche nomine, il rischio di frode sia dietro l’angolo. Nel report, ad esempio, si fa specifico riferimento alla circostanza in cui il governatore della Banca Centrale libica, Saddek Elkaber, sia al tempo stesso presidente della ABC Bank Londra, banca commerciale posseduta a maggioranza dalla Banca Centrale libica. L’autorità monetaria nordafricana tratta la maggior parte delle lettere di credito con la ABC Bank la quale, proprio dai rapporti commerciali con essa, trae profitti. Secondo gli esperti di Global Witness, oggi ci sarebbe il rischio che il sistema delle lettere di credito possa essere soggetto a maggiori abusi e frodi rispetto al passato a causa dell’instabilità politica del Paese. In poche parole, c’è il rischio che i soldi concessi ai beneficiari delle lettere di credito vengano dirottati ancora più facilmente rispetto a prima verso destinazioni diverse da quelle per cui erano stati dati e per usi, con tutta probabilità, illegali. “Ci sono state navi che sono arrivate ai porti libici quasi completamente vuote o con prodotti in quantità non corrispondenti a quelle dovute e magari, per acquistare quelle merci, è stata concessa una lettera di credito di milioni di dollari”, dice Paul Donowitz, esperto di Global Witness.

Dove vanno a finire, quindi, i soldi in valuta straniera dirottati? In mano alle milizie che li rimettono in circolazione nel mercato nero dove è praticato un tasso di cambio molto più alto rispetto a quello del mercato legale, aumentando esponenzialmente il loro margine di guadagno. Ma non solo. Il rapporto di Global Witness, infatti, denuncia il coinvolgimento in queste frodi anche di politici e imprese locali. “Il tasso di cambio del dinaro in Libia è un tasso fisso e artificiale. Se si volesse veramente risolvere il problema dell’uso fraudolento delle lettere di credito basterebbe eliminare la differenza fra il tasso di cambio ufficiale e quello praticato invece sul mercato nero – dice Winer – e la maniera più efficiente per fare questo sarebbe permettere al tasso di cambio di fluttuare ed aggiustarsi al livello di mercato. Dunque, la soluzione c’è ed è una soluzione che comporterebbe anche dei costi molto bassi”. Un sistema contorto ed esposto ad abusi. Nulla di nuovo, però. Secondo gli esperti, già durante il regime di Gheddafi sono state commesse frodi da miliardi di dollari attraverso il sistema delle lettere di credito.

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