Quasi 500mila euro di danni morali. Raffaele Fitto, europarlamentare di Fratelli d’Italia e l’uomo che doveva permettere al centrodestra di vincere la guida della Regione Puglia alle scorse elezioni, dovrà risarcire la stessa Regione per fatti risalenti a quando era governatore, dal 2000 al 2005. Lo ha deciso la Corte d’appello di Bari, terza sezione civile, che lo ha ritenuto colpevole di falso ideologico in relazione a una delibera di Giunta del 2004 che affidava a privati la gestione delle Rsa. In sede penale è stata dichiarata anni fa la prescrizione dei reati e oggi il procedimento si è definito in sede civile.

“La Corte ritiene”, si legge nella sentenza, “che il falso ideologico commesso da Fitto abbia provocato un enorme danno alla credibilità e all’immagine della Regione“. Lo stesso ente aveva chiesto un risarcimento per danni non patrimoniali pari a 1,5 milioni di euro e patrimoniali pari a oltre 22 milioni. Ma per i giudici Fitto è responsabile dei soli danni morali, e non di quelli materiali.

Nel mirino, appunto, una delibera del 2004, ritenuta quindi falsa, che faceva riferimento all’impossibilità delle Asl di gestire direttamente le 11 Residenze sanitarie per anziani regionali, rendendo così legittimo aprire ai privati con un’apposita gara dal valore di 198 milioni di euro. La sentenza, si legge, evidenzia “la sussistenza del dolo di Fitto, il quale volle e preparò l’apertura generalizzata al privato nelle Rsa, sollecitando in ogni modo pezze di appoggio dagli uffici competenti”.

Secondo i giudici l’organo di vertice più importante, “un presidente scelto dagli elettori, prese una decisione essenziale in materia di sanità, la più importante sul piano socio-economico tra quelle attribuite all’ente, creando sulla base di falsi presupposti il ‘ponte’ necessario per un successivo processo di privatizzazione delle Rsa” di fatto “sganciato da ogni discussione democratica e collaborazione amministrativa”. Addirittura, “pressando e pretermettendo uffici amministrativi e qualificati dirigenti di Asl e Ares” fino a “prevaricare e travolgere anche gli assessori da lui scelti in virtù di un vincolo di fiducia politica e personale”.

La sentenza, quindi, spiega l’atteggiamento dell’europarlamentare meloniano, all’epoca dei fatti presidente regionale sostenuto dalla coalizione di centrodestra Polo delle libertà, definito “autocratico“. Un modo di fare “proprio di chi evidentemente considerava soltanto il risultato da perseguire, al di là di procedure, rispetto di regole legali e amministrative, e persino il rispetto personale e politico verso i suoi assessori”. “L’essere stata la Regione rappresentata da un presidente così radicalmente avulso dalla democrazia e dalla legalità – concludono i giudici – , nonché dal rispetto per le articolazioni locali titolari di proposta, le Asl, ha prodotto un danno che può essere quantificato, secondo equità, nella misura di 350.000 euro, rivalutati a 434.500 dal fatto al momento attuale”, oltre agli interessi legali dall’aprile 2004 ad oggi (che ammontano a circa 90 mila euro).

La sentenza prende in esame uno stralcio del processo “Fiorita” sulla presunta tangente da 500 mila euro pagata dall’imprenditore romano Giampaolo Angelucci per aggiudicarsi quella gara. Accuse, queste ultime, dalle quali Fitto è stato assolto in sede penale in via definitiva. Nel procedimento la Regione è stata rappresentata dagli avvocati Giuseppe Spagnolo e Massimo Leccese.

“Sono basito, è una sentenza contradditoria“, ha commentato Fitto, annunciando che farà ricorso in Cassazione. “Contraddittoria”, insiste, “perché chiarisce in modo indiscutibile che non esiste alcun danno patrimoniale” ma che la condanna si riferisce “a un danno d’immagine quantificato in via equitativa”. Per l’europarlamentare, inoltre, la decisione dei giudici, si basa su “valutazioni sulla mia persona inopportune ed offensive del tutto estranee a logiche giuridiche che meriterebbero sicuramente altro tipo di valutazioni e che costituiscono un precedente isolato e pericolosissimo, reso al di fuori di ogni canone di ragionevolezza, atteso che la stessa Corte non ha potuto individuare, nella mia condotta (che pure ribadisco essere stata legittima) una idoneità a causare un danno patrimoniale all’ente”. Fitto si è detto però “sereno” ribadendo “la mia fiducia nella giustizia” e rivendicando la sua “totale correttezza amministrativa” in questa “storia infinita, che mi accompagna ormai da oltre 15 anni”.

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