L’Italia è stata nuovamente condannata dalla corte di Strasburgo per la ri-vittimizzazione di una donna che vide assolti gli uomini che aveva denunciato per stupro. Il fatto riguarda il caso della Fortezza da Basso e conferma quanto le attiviste dei centri antiviolenza denunciano da anni: il percorso delle donne nei tribunali italiani per ottenere giustizia è irto di ostacoli. Le donne non sono credute, sono colpevolizzate per le violenze da un sistema giudiziario che non agevola l’emersione del fenomeno della violenza.

Nel ricorso presentato dall’avvocata Titti Carrano (che ha precedentemente ottenuto la condanna dell’Italia per il caso Talpis) insieme alla avvocata Sara Menichetti, non è stato chiesto alla Corte di Strasburgo di esprimersi sull’assoluzione degli imputati ma sulla motivazione della sentenza di assoluzione che si fondò su pregiudizi e stereotipi sessisti che stigmatizzarono i comportamenti della donna, le sue scelte sessuali, persino l’abbigliamento.

Quella sentenza della Corte d’appello di cui scrissi nel 2015 , raccontando le proteste delle attiviste per i diritti delle donne che manifestarono per le strade di Firenze, richiamava alla memoria Processo per Stupro.

Il documentario di Loredana Rotondo venne trasmesso dalla Rai nel 1979 denunciando i pregiudizi morali contro le vittime di stupro nei nostri tribunali. Sono trascorsi più di 40 anni da quella denuncia eppure le donne continuano ad essere vittimizzate e umiliate nei tribunali italiani che non sempre garantiscono un processo equo e libero da pregiudizi.

La Corte di Strasburgo ha colto i limiti della sentenza dei giudici fiorentini e ha ritenuto che i diritti e gli interessi della ricorrente derivanti dall’articolo 8 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, sul diritto al rispetto della vita privata e familiare, non sono stati adeguatamente tutelati. “Ne consegue – si legge nella sentenza Cedu – che le autorità nazionali non hanno tutelato la ricorrente dalla vittimizzazione secondaria durante tutto il procedimento, di cui la redazione della sentenza è parte integrante”.

“La sentenza di Strasburgo rende giustizia alla donna ma anche a tutte le donne che quando denunciano devono affrontare un percorso giudiziario in cui subiscono vittimizzazione secondaria – ha dichiarato l’avvocata Titti Carrano – con l’effetto di scoraggiarle dal presentare denuncia. La Corte di Strasburgo ritiene deplorevole e irrilevante il riferimento nella sentenza di assoluzione della Corte d’Appello di Firenze, alla vita personale, alle attività artistiche e culturali, all’abbigliamento e all’orientamento sessuale che furono poste alla base dell’attendibilità della testimonianza della donna con una ingiustificabile ingerenza nella sua vita privata. La vita e la dignità di questa donna sono state calpestate, così come sono state calpestate la riservatezza, la dignità, l’immagine”.

“Eppure da tempo le norme nazionali e internazionali – continua Carrano – richiamate in questa sentenza della CEDU chiedono la tutela e la protezione della vittima. Mi auguro che il governo italiano accetti questa condanna senza ricorrere alla Grande Camera e che si adoperi concretamente per le attività di prevenzione e formazione degli operatori di giustizia affinché non si ripetano ulteriori eche da tempo si denuncia il rischio di vittimizzazione secondaria nei tribunali e le sue nefaste conseguenze”.

Antonella Veltri, presidente Dire – donne in rete contro la violenza, in un comunicato stampa ha commentato la condanna dell’Italia: “La cultura della stupro resiste in Italia insieme agli stereotipi e ai pregiudizi sessisti sul ruolo della donna che sono stigmatizzati dalla Corte di Strasburgo e che leggiamo nella sentenza del tribunale di Firenze, a conferma dell’arretratezza culturale del sistema giudiziario italiano”.

Ora lo Stato italiano dovrà pagare un risarcimento a quella giovane donna che nel 2010 chiese giustizia e che andò incontro ad un (pre) giudizio morale assurdo e fuori tempo massimo.

@nadiesdaa

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