Non illudiamoci. Il contribuente italiano paga le tasse bestemmiando contro lo Stato. Non ha coscienza di esercitare, pagando, una vera e propria funzione sociale. Pur sforzandomi, faccio fatica a trovare qualcuno che, in questo periodo, sorrida mentre compila il suo Modello Unico pensando, anche solo per un minuto, di aver contribuito al benessere non solo proprio ma dell’intera nazione. Solitamente, in tempi normali, l’imposta gli è imposta. Figuriamoci in una fase emergenziale di crisi. Quella emergenza ed urgenza che hanno dettato, negli ultimi 15 mesi, il ritmo della frenetica attività del legislatore in materia fiscale.

Si è legiferato per adottare “misure straordinarie”, con provvedimenti d’urgenza, emanati con cadenza anche settimanale con lo scopo di sostenere, o meglio, limitare i danni, di famiglie, lavoratori e imprese. Sospendendo momentaneamente il pagamento delle tasse e delle cartelle esattoriali e rinviandolo, come se fossimo poi stati capaci di pagare, appena finita la pandemia. Decreti legge prodotti in serie. Sembrava quasi la promozione di una catena di negozi di elettrodomestici! Paghi tutto, con gli interessi, però spalmato nel tempo, così ti illudi di farcela. Ma non è questo il caso.

Come raccontato in Salviamoci (Chiarelettere), qui, dopo la pandemia, occorre ripartire e ricostruire. E già solo questo costa troppo. I soldi non ci saranno per sostenere anche il passato. E non lasciamoci abbagliare dalla effimera euforia di consumi delle ultime settimane, perché stiamo spendendo una ricchezza ingannevole, semplicemente quei risparmi che avevamo accumulato durante il lockdown per la riduzione della spesa.

Quindi, ricapitolando, dobbiamo ritornare a pagare le tasse, nel frattempo sospese, che avremmo dovuto regolare nel 2020 e nel 2021. Ma, attenzione, dobbiamo ricordare che nel 2020 noi avremmo dovuto pagare le tasse relative ai redditi prodotti nell’anno “normale” 2019. Quindi, è stato giusto semplicemente sospendere e rinviare il pagamento. L’assurdo sta nel pretendere le tasse sui redditi, semmai realizzati, prodotti nel 2020.

Le tasse prodotte nel periodo della pandemia devono essere cancellate, anziché rinviate. Un condono fiscale, un giubileo, chiamatelo come volete ma cliccate sul tasto “delete” e obbligate il contribuente a reinvestire quelle disponibilità (se mai ci fossero) in sviluppo delle imprese. Sapete perché? In primo luogo per un fatto pratico: al momento, non ci sono i soldi per pagarle. Si prevede un boom di “ravvedimenti operosi” e di “avvisi bonari”. In secondo luogo per un motivo dottrinale e politico. Perché le tasse si pagano sostanzialmente per tre motivi.

Innanzitutto per poter usufruire di quei servizi che lo Stato eroga a nostro favore, teoricamente per l’intera durata della nostra vita, e che ovviamente hanno un costo che viene coperto dalle tasse. In secondo luogo per permettere allo Stato di adempiere al suo fine supremo, ovvero quello di rimuovere qualsiasi tipo di ostacolo che non permetta a ciascuno di essere artefice del proprio sviluppo, facendo sì che vengano garantite a tutti le medesime opportunità; una sorta di assicurazione che teniamo lì pronta per qualsiasi evenienza.

Ed infine per consentire allo Stato di garantire a noi cittadini tutti i diritti sanciti dalla Carta costituzionale come lavoro, sicurezza, giustizia, salute ed istruzione. E voi ritenete che tutto questo sia stato assicurato durante la pandemia?

L’unica imposta per cui si è provveduto con cancellazione è stata l’Irap (Imposta Regionale sulle Attività Produttive), quell’imposta per cui già da tanto si discute se eliminarla del tutto. Tuttavia, è stata cancellata solo in parte, per il saldo 2019 e il I° Acconto 2020. E non si comprende su quali basi, ennesima contraddizione, si è deciso di mantenere il II° Acconto Irap, tra l’altro, più oneroso dei primi due. Forse perché nel 2020 tutto era ritornato come prima? Perché le istituzioni garantivano quanto sopra evidenziato? Acconto su cosa? Sui debiti e le perdite prodotte nel 2020?

Ci sembra di trovarci dinanzi ad uno Stato solo “creditore”, anziché “legislatore e garante della Costituzione”. Che davanti ad un’evidente insolvenza dei propri debitori, ti “concede” solo una proroga, un rateizzo. Ovviamente da ripagare con tutti gli interessi.

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