I molti folkloristici personaggi che hanno accompagnato la costruzione del dibattito pubblico sul Covid nell’ultimo anno e mezzo anche in estate non lesinano interviste sui grandi giornali e sui principali media. È di un paio di giorni fa l’uscita, temeraria, di Matteo Bassetti, uno dei più eclettici esperti sulla piazza, che ha avvertito come in autunno, a seguito di possibili ripartenze delle varianti del virus, sarà necessario chiudere in casa le persone che non si sono ancora vaccinate. Bassetti non è che l’ultimo di questa serie di colorati commentatori che, in nome si presume della cosiddetta scienza, si sentono titolati a dire tutto e il contrario di tutto a cadenza settimanale. Purtroppo avere lasciato così tanto spazio a questi personaggi non ha prodotto risultati particolarmente benefici per la cittadinanza.

Nel novembre 2020 Bassetti è stato nominato coordinatore per la gestione dei pazienti Covid per il ministero della Salute. Il motivo è da ascriversi certamente a importanti meriti scientifici anche se internet ricorda, feroce e irriverente, come nell’agosto del 2020 proprio il Bassetti aveva sentenziato la fine dell’emergenza sanitaria, puntualmente riesplosa in modo ancora più cruento che in primavera con il termine dell’estate. È chiaro che dalla politica non ci si può attendere molto, in particolare nei momenti di grande crisi. Ma già questo precedente avrebbe dovuto forse indurre la stampa a ridimensionare il peso di certe dichiarazioni. Purtroppo si sa che in Italia l’opinione pubblica è facilmente distraibile e la memoria del lettore è corta.

Mentre i principali media sono così impegnati a informare le masse di cittadini ormai sfiancate da un anno e mezzo di caos informativo del rischio della variante Delta (e della necessità di completare i cicli vaccinali), la notizia dei 50 gradi di temperatura registrati in Canada passa giustamente (se va bene) in terza o quarta pagina. Se i governi e i cittadini fossero solo debolmente razionali, l’ennesimo e probabilmente più drammatico campanello di allarme di un clima impazzito dovrebbe portare a mettere subito in pratica misure draconiane in tutti i paesi del mondo per contenere il surriscaldamento del globo terrestre.

Prendendo come termine di paragone i lockdown decisi dai diversi governi per contrastare la diffusione di un virus che ha causato tre milioni di decessi su sette miliardi di abitanti, il raggiungimento del record mondiale di calore registrato negli scorsi giorni dovrebbe portare alla chiusura immediata di fabbriche inquinanti, estrazione di combustibili fossili e all’interruzione della miriade di altre attività predatorie con cui gli esseri umani stanno alterando il delicato equilibrio terrestre. Purtroppo niente di tutto questo si sta registrando.

Gli obiettivi di contenimento del surriscaldamento globale che i governi inseriscono nelle loro agende post pandemiche sono fissati in ventenni o trentenni e dominano la scena come sempre gli interessi di basso cabotaggio: l’inserimento nei piani di rinascita nazionali di misure a favore delle diverse lobby, la disputa su chi deve essere il capobastone dei diversi partiti, la raccolta di qualche punto in più nei sondaggi da parte dei leader delle principali forze politiche. Eppure continuare a mettere in prima pagina dopo 16 mesi solo notizie sulla diffusione del Covid non è fare un buon servizio alla collettività. Il Covid è stato causa di una crisi senza precedenti e ha generato conseguenze economiche, politiche e sociali ancora solo in minima parte valutabili. Ma a confronto con cosa sta accadendo sul fronte del cambiamento climatico il virus è meno di una formica in paragone a un gigante.

Nel 1971 Samuel Mines scriveva una delle pietre miliari sul conservazionismo ecologico intitolato emblematicamente The Last Days of Mankind (“Gli ultimi giorni dell’umanità”). Nello storico rapporto (dedicato ai “magnifici uomini e donne del movimento conservazionista che per così a lungo hanno combattuto disinteressatamente per tutte le generazioni a venire”) l’autore si chiedeva: è ancora possibile salvare la Terra?, raccontando con una dovizia di particolari impressionante della sistematica distruzione dell’habitat e della continua immissione di anidride carbonica destinata a innalzare irreparabilmente la temperatura del pianeta. Dopo 50 anni, il panorama di arroganza, superficialità e rapacità con cui la specie umana e le sue élite stanno devastando la terra non si è modificato e anzi è diventato ancora più feroce.

Dietro etichette come “transizione verde” si celano gli stessi interessi di chi per decenni ha saccheggiato la natura e sconvolto i delicati equilibri del pianeta. Solo che oggi, diversamente dai tempi in cui scriveva Mines, le conseguenze del saccheggio sono ormai mortali. Un’opinione pubblica assuefatta al distacco di iceberg grandi come la Sicilia, o alle devastazioni causate da incendi e colpi di calore di formidabile potenza, andrebbe risvegliata in fretta dal torpore delle vacanze estive, rimettendo ordine nelle priorità del dibattito pubblico. Di fronte alla catastrofe, serve una mobilitazione senza precedenti dei cittadini e piani di emergenza radicali per agire subito a salvaguardia di quello che ancora può essere salvato.

Per fare questo sono indispensabili media indipendenti, riorganizzazioni delle agende editoriali e voci capaci di risvegliare le coscienze dormienti delle grandi masse di cittadini dormienti. Ci sono molti passi da fare per ricostruire un dibattito di questo tipo. Il primo è una moratoria immediata degli interventi della pletora di virologi che da mesi confondono i cittadini con informazioni dissonanti e contraddittorie sulla diffusione del Covid. Non occorre forse arrivare al punto di dissuadere l’ego di questi personaggi con l’introduzione di sanzioni monetarie per ogni notizia o commento rivelatosi poi errato, anche perché considerato il numero degli svarioni e delle dichiarazioni improvvide il rischio sarebbe probabilmente quello di ingrossare irrimediabilmente la già larga platea di richiedenti il reddito di cittadinanza.

Basterebbe decidere che per i prossimi dodici mesi il tema centrale del dibattito deve cambiare e che a parlarne siano chiamate persone che spieghino la complessità dei problemi, aprendo nuovi interrogativi e richiamando i cittadini a nuove responsabilità. Vista la piega che stanno prendendo gli eventi, per salvare l’umanità sarà indispensabile mettere in atto qualcosa di molto più impegnativo di una efficace campagna vaccinale.

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