Critiche e lodi del reddito di cittadinanza (RdC), la principale promessa elettorale realizzata del M5S, riaffiorano periodicamente anche su questo giornale; ultimamente a causa dell’invito ad impegnarsi piuttosto che accettare il sussidio rivolto dall’industriale Guido Barilla ai giovani. Presento in questo post due considerazioni critiche: la grave e interessata ambiguità e l’effetto di rendere passivo il cittadino.

Fin dall’inizio la proposta del RdC è stata estremamente ambigua, e ha oscillato tra almeno due formulazioni molto diverse. Per come è stato implementato, il RdC è un sussidio alla disoccupazione sotto altro nome, subordinato alla ricerca di un impiego e revocato quando l’impiego viene trovato. Però Beppe Grillo nel suo blog ha sempre sostenuto anche un’altra interpretazione: l’automazione del lavoro ridurrebbe la necessità di lavoro umano e creerebbe disoccupati privi di qualunque possibilità di inserimento lavorativo. Il RdC sarebbe quindi lo strumento per ridistribuire la ricchezza prodotta da pochi e sostenere in modo permanente una massa di esclusi dal mondo del lavoro.

E’ facile vedere dietro questa formulazione una delle fantasiose predizioni del futuro care a Gianroberto Casaleggio, e il minimo che si possa dire è che per ora questo futuro non si è ancora realizzato. L’ambiguità tra le due formule non è casuale ma voluta, e appartiene alla strategia propagandistica del Movimento che propone formule che ciascuno può interpretare a suo piacimento, almeno fino a quando non si tenta di realizzarle, e l’imbroglio viene svelato.

Non per niente il RdC fu riproposto con grande enfasi sul blog di Beppe Grillo a febbraio del 2018 in piena campagna elettorale per le elezioni politiche di quell’anno. Osserviamo, di passaggio, che un RdC erogato a vita non è più un sussidio di disoccupazione ma una pensione baby erogata a beneficiari che anziché versare contributi per vent’anni non li hanno versati mai: una misura assistenziale, di quelle contro le quali a suo tempo Beppe Grillo urlava improperi.

Un secondo difetto del RdC come attualmente implementato, che rimarrebbe tale e quale anche in un mondo ideale, privo di lavoro nero ed evasione fiscale, è la passivizzazione dell’aspirante lavoratore. In sostanza il RdC attuale eroga un sussidio a chi è disoccupato. Viene revocato a fronte di offerte di lavoro: se una offerta viene accettata il beneficiario perde il RdC perché non è più un disoccupato, se le offerte vengono rifiutate perché così dice la norma.

Il concetto di “offerta di lavoro” è però male precisato. Quali lavori possono essere “offerti” ad un disoccupato? Gli impieghi pubblici non si danno per offerta, si ottengono vincendo un concorso. I concorsi potranno avere tutti i problemi del mondo, ma eliminarli e procedere per offerte non sembra giusto ed è contrario alla nostra Costituzione (art. 97). Ai lavori artigianali si accede per apprendistato e prima o poi l’apprendista si mette in proprio. Non si può aprire una attività artigianale per offerta, ma si può facilitare l’iniziativa con sgravi fiscali iniziali e crediti agevolati. Sarebbe ovviamente molto logico per lo stato offrirsi di sovvenzionare in tutto o in parte il periodo di apprendistato, ma questa misura non è RdC e non conduce all’offerta di lavoro.

L’impiego dipendente in una industria privata di solito richiede competenze specifiche richieste dal datore di lavoro: se il disoccupato non trova impiego perché manca di competenze appetibili sul mercato, anziché il RdC è meglio dargli una borsa di studio o di apprendistato che gli permetta di acquisirle. In ultima analisi, pochi lavori possono essere “offerti” e sono in genere poco qualificati e pagati in modo corrispondente: sono quelli per i quali è difficile trovare i candidati.

Una sana politica del lavoro che preveda un salario minimo ragionevole e renda appetibili anche questi lavori dovrebbe essere una priorità di qualunque partito di sinistra, ma questi lavori resi appetibili saranno subito presi da chi li cerca attivamente, non da chi aspetta che gli siano offerti.

La politica e la cultura sociale si influenzano reciprocamente. L’elettore vota ciò in cui crede e la politica rende plausibile ciò che l’elettore crede o vuole credere. Il RdC è dannoso per la cultura sociale: rende soggetto passivo, anziché attivo, l’aspirante lavoratore perché crea un modello nel quale il lavoro deve poter essere offerto, e il disoccupato è sciolto dalla responsabilità di cercare attivamente il suo impiego, gli basta attenderne l’offerta.

Pochissimi lavori possono essere “offerti”: nella grande maggioranza dei casi, e in tutti i casi più appetibili, i lavori devono essere attivamente cercati, spesso attraverso periodi di formazione o apprendistato. Sussidio di disoccupazione, cassa integrazione, borse di studio e formazione sono tutte iniziative socialmente utili e culturalmente sensate, purché abbiano termini temporali definiti e non deresponsabilizzino il disoccupato.

Responsabilità, autonomia di scelta, lavoro sono i cardini della dignità sociale del cittadino: non per niente l’articolo 1 della Costituzione dice che la Repubblica è fondata sul lavoro. Ad una politica incapace la passivizzazione del cittadino, contraria allo spirito della Costituzione, conviene: chi è dipendente dal beneficio pubblico vota il partito che lo promette.

Articolo Successivo

Recovery, il discorso di Draghi davanti a Ursula Von der Leyen nasconde il suo tallone d’Achille

next