Una minuziosa operazione di ricucitura. È quanto prova a fare Felipe VI, Re di Spagna, nei rapporti con l’indipendentismo e le istituzioni catalane. Anni di tensioni e risentimenti hanno incrinato fiducia e relazioni formali, con ripicche che hanno stravolto protocolli ma anche il buon senso, tanto da portare alla rimozione di ritratti di Juan Carlos di Borbone dalle sale della Generalitat e al ritiro delle onorificenze. Con un segno politico chiaro espresso da una fetta non secondaria della società: la monarchia è superata, la nuova forma di Stato non può che avere un’impronta repubblicana.

La figura del Re è spesso utilizzata strumentalmente, difesa a oltranza dalla destra popolare o dall’ultradestra di Vox, protetta dalla sinistra moderata del Psoe, formazione che esprime il premier Pedro Sánchez, giudicata come istituzione anacronistica dalla sinistra radicale di Podemos, da Izquierda Unida e dai partiti indipendentisti.

Nessun rappresentante del Govern di Barcellona aveva ritenuto di partecipare al 25esimo anniversario dell’installazione della casa automobilistica Seat, oggi del Gruppo Volkswagen, nella cittadina catalana di Martorell: la presenza del Re all’evento era considerata troppo ingombrante dalla coalizione indipendentista. “Dove c’è il re non ci siamo noi” hanno più volte ripetuto i vertici del movimento separatista, prima fra tutti Quim Torra presidente dell’esecutivo regionale fino alla destituzione del settembre scorso. Non gli hanno mai perdonato il duro discorso pronunciato alla tv di Stato la sera del 3 ottobre 2017, quando 48 ore dopo il referendum – dichiarato illegittimo dal Tribunale Costituzionale di Madrid – voluto dagli indipendentisti, un Felipe VI teso in volto denunciava la “slealtà” della Generalitat riaffermando l’ordine costituzionale.

Per molti analisti, quella sera il monarca fu mandato allo sbaraglio, non accompagnato da interventi pubblici altrettanto chiari dell’allora premier Mariano Rajoy; seppur solo, Felipe assestò un colpo duro ai separatisti, la sua posizione ferma gli valse l’acrimonia di parte della società catalana.

Ora è tempo di recuperare, di ricucire le ferite. Non sarà facile, visto che un sondaggio del Centro de Estudios de Opinión (CIS) dello scorso maggio ha rilevato che il 70% dei catalani preferisce la repubblica alla monarchia. Troppi scandali ne hanno incrinato la reputazione, prima il caso Nóos con le condanne per corruzione inflitte ad alcuni membri della famiglia della infanta Cristina, la quale aveva residenza a Barcellona e un lavoro ne La Caixa, istituto bancario simbolo della Catalogna. Poi i gravissimi sospetti nei confronti del vecchio Juan Carlos I, accusato di tramare loschi affari con la potente nomenclatura saudita. Il 17 giugno è stato dato alle stampe il libro del saggista Ernesto Ekaizer El rey al desnudo. Historia de un fraude (Il re a nudo, Storia di una frode). Un’inchiesta tra Madrid e Ginevra che segue il ‘viaggio’ di un bonifico da 100 milioni di petrodollari dall’Arabia Saudita alla fondazione Lucum, di proprietà del vecchio monarca spagnolo.

Felipe crede nel recupero; la primogenita, la infanta Leonor, quando occorre interviene in pubblico in un perfetto catalano. L’agenda reale prevede sempre più impegni in Catalogna, il prossimo è in programma il 28 giugno all’inaugurazione del noto Mobile World Congress di Barcellona dove il re potrà incontrare il nuovo presidente catalano, Pere Aragonès, il quale si è già distaccato dalla “dottrina Torra” partecipando ad eventi col monarca, scambiando con lui tiepidi saluti.

Talvolta è dura, anche per un re.

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