di Giusy Cinquemani

Il 10 giugno del 1981 è una data dolorosamente cara agli italiani che c’erano allora. È la data della caduta di Alfredino Rampi in un pozzo artesiano a Vermicino. Dopo tre giorni di attesa sospesa e di tentativi, semplici, ingegnosi e folli, tutti fallimentari, di salvarlo, Alfredino morì. Finì la sua infanzia e con lei anche quella di molti di noi, se non di un’intera nazione. Finì per tutti contemporaneamente. Quel buco nero di quel pozzo artesiano, da cui per tre giorni l’Italia aveva sperato, sognato, pregato venisse fuori quel bambino, si risucchiò lui e le infanzie di tutti, di quelli che infanti lo erano e di quelli che non lo erano più, attraverso il buco nero degli schermi televisivi.

Da quei giorni, la tv cominciò a riversare nelle case grandi quantitativi di liquame catodico, materiale tossico, sollecitando curiosità malate. Finì per sempre, anche se di fatto era finita da un pezzo, nel 1975, la tv dei ragazzi. Quella pensata pensando a loro, piccoli, sensibili, studenti, figlioli, seme per il futuro. Fine, stop! Tutti eravamo stati esposti a quella tragedia collettiva. La disgrazia, l’attesa, i fallimenti e la perdita, tutto esposto a tutti a tutte le ore.

Erano gli anni della presidenza di Sandro Pertini, rimasto per sempre legato a quell’evento doloroso e, l’anno dopo, all’evento gioioso dei mondiali di calcio di Spagna. Sicuramente anche a tante altre vicende, ma a quelle sicuramente.

Per ritrovarsi di nuovo tutti insieme davanti la televisione, ma con un sorriso, con uno stato d’animo leggero, l’Italia dovette attendere quel sognatore di Renzo Arbore e il grande gruppo di Quelli della notte. Sì, c’erano stati i Mondiali di Spagna, le braccia alzate di Pertini, questa volta non per la resa, ma per una vittoria, ma il Mondiale fa evento a sé, nella sua capacità di mettere assieme la nazione. Sono un rito i Mondiali, agglutinano l’Italia per un mese, come il sangue di San Gennaro, sempre che il miracolo riesca, o che la lascia tristemente a pezzi nelle sue case a tifare per il Camerun o per altri più accreditati, a seconda delle propria sensibilità etica, politica e della capacità di stare dalla parte dei deboli che si giocano una chance.

Ma per sorridere insieme, senza coppe e tifo, questa volta attorno, non ad un buco nero, ma ad un gruppo disposto a cerchio in studio che si allargava a tutti i telespettatori notturni d’Italia, abbiamo dovuto aspettare Arbore che, come un domatore di incubi, evocava e salvava dall’oblio meravigliosi personaggi che avrebbero consolato le nostre notti estive.

Adesso il 21 giugno di 40 anni dopo, andrà in onda una fiction sulla tragedia di Alfredino. Perché mi chiedo? A cosa serve questo nuovo prodotto? Su cosa ci vuole sensibilizzare? Dopo quell’evento, nacque in Italia la Protezione Civile, si fecero campagne sulla custodia dei pozzi artesiani…

Il 5 agosto del 2010 quando ci fu l’incidente nella miniera di San José, in Messico, in cui vennero salvati tutti e 33 i minatori rimasti intrappolati, il pensiero di molti andò ad Alfredino non salvato.
Adesso invece questa ennesima espressione di un mai sazio bisogno di realismo che affligge il cinema e la produzione tv italiana, figlio della mancanza di immaginazione di sognatori e artisti, venduti alla pornografia della cronaca, viene a disturbare, deturpare e sporcare un ricordo che sta sempre lì, custodito preziosamente, e che solo la scomparsa di tutti quelli che abbiamo assistito a quella lunga veglia, che abbiamo perso un po’ di noi con lui, si porterà giustamente e serenamente via lui con noi.

@GiuCinque

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