Dieci anni per vincere. E un paio di giorni per distruggere tutto. La gioia nerazzurra è durata qualche ora. Il tempo di festeggiare lo scudetto, nemmeno quello perché pure durante le celebrazioni in piazza, le esultanza sui social, gli abbracci e i complimenti, c’era già un velo di malinconia, l’angoscia di ciò che sarebbe stato il futuro. E il futuro sarà senza Antonio Conte, artefice del trionfo, che se n’è andato in silenzio, senza nemmeno sbattere la porta come suo solito, magari senza altri dei protagonisti. Sembra quasi il suo destino: vincere e poi sparire. Un film già visto.

22 maggio 2010, l’Inter conquista il Triplete, entra nella leggenda del calcio mondiale. E Jose Mourinho se ne va, lascia senza neppure tornare a Milano dal Bernabeu: in quella notte magica, tutti ebbero la certezza che quella squadra che aveva appena vinto tutto non avrebbe rivinto. Oggi in qualche modo la storia si ripete, ma in realtà è molto diversa. Allora la Champions League era il culmine di un ciclo straordinario iniziato cinque anni prima (anche se quella squadra era cambiata molto in estate, e forse con delle scelte diverse avrebbe anche potuto ripetersi). Stavolta lo scudetto avrebbe dovuto essere solo il primo trionfo di un nuovo ciclo nerazzurro. C’erano tutte le condizioni per aprirlo: una rosa giovane nei suoi elementi cardine, un gruppo unito come non si vedeva da tempo alla Pinetina, una guida sicura, avversari non all’altezza. Invece l’Inter è implosa, sul più bello.

La colpa è delle vicissitudini societarie, della decisione da parte del governo cinese di sbaraccare gli investimenti sul calcio che ha legato le mani a Suning. E poi, ovviamente, del Covid. La pandemia ha portato tutto il sistema al collasso, non solo il club nerazzurro. Probabilmente saranno in tanti quest’estate a dover fare sacrifici e rinunce, in un mercato al risparmio. Certo però solo l’Inter sta vivendo la crisi in maniera così drammatica in questi giorni: mentre la Roma annuncia Mourinho, la Juventus riporta a casa Allegri, la Lazio rinnova Simone Inzaghi, il Napoli si prepara a Spalletti, l’Atalanta si tiene stretta Gasperini, tutti allenatori top per la Serie A, l’Inter ha dovuto rinunciare al suo pezzo più pregiato, Antonio Conte. E altri probabilmente ne perderà a breve: il suo addio significa ridimensionamento. Il tecnico dello scudetto va via perché gli è stato detto che l’anno prossimo non avrebbe avuto a disposizione una squadra per vincere in Italia e anche in Europa. Questa, al di là del divorzio, è la vera notizia per i tifosi nerazzurri, la peggiore possibile.

Forse Conte avrebbe potuto fare anche una scelta diversa. In un panorama generale di crisi (perché nessuno potrà fare follie in estate, questo è sicuro), con la creatura che ormai aveva forgiato a sua immagine e somiglianza, in una piazza che l’aveva adottato, anche con una rosa un po’ indebolita probabilmente avrebbe potuto essere competitivo. Magari sgravato dalla pressione di dover vincere ad ogni costo, nessuno gliel’avrebbe chiesto. Ma Conte è sempre Conte, non cambia mai: per lui la vittoria è un’ossessione, l’unica prospettiva possibile. Se n’era andato per molto meno dal Bari, la prima società che gli aveva dato fiducia, e dalla Juventus, casa sua. Figuriamoci dall’Inter, che è stata soltanto una delle sue squadre, una delle tante.

Ai tifosi nerazzurri resta solo un po’ di scaramanzia: in passato Conte ha avuto torto. Le squadre che ha lasciato perché riteneva non abbastanza competitive, dopo di lui hanno fatto ancora meglio che con lui (la famosa battuta del ristorante da 100 euro e le due finali di Champions raggiunte da Allegri sono ancora lì a ricordarglielo). Molto dipenderà da quanto grossi saranno i sacrifici che la proprietà cinese pretenderà a Marotta, unica ancora di salvezza per il club nerazzurro. E poi dal suo sostituto in panchina. Si era parlato proprio di Allegri, che però ha preferito la Juventus: del resto perché avrebbe dovuto scegliere l’Inter, con queste premesse. Altro pessimo segnale per il futuro. Sul mercato restano pochi nomi di livello, forse solo Maurizio Sarri (che però comporterebbe una vera rivoluzione tattica). Qualsiasi alternativa di livello inferiore sarebbe un ripiego, il rischio concreto è il ridimensionamento. Altre stagioni di transizione, giocatori che vanno e vengono, sconvolgimenti societari all’orizzonte, nuove rifondazioni necessarie. Per rivincere magari fra altri dieci anni. Che fatica essere nerazzurri.

Twitter: @lVendemiale

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