La conduttrice Platinette, il governatore calabrese Nino Spirlì, il filosofo Stefano Zecchi. E ancora il rabbino capo di Roma Riccardo Di Segni, il portavoce dell’associazione Family day Massimo Gandolfini, la giornalista Marina Terragni di RadFem (femministe trans-escludenti), il sociologo Luca Ricolfi e il segretario generale della Cei Stefano Russo. Sono solo alcune delle 170 audizioni ammesse dalla commissione Giustizia del Senato sui due disegni di legge depositati in tema di omofobia: quello, ormai celebre, a prima firma del deputato Pd Alessandro Zan (già approvato alla Camera a novembre 2020) e quello “alternativo” del centrodestra, proposto dalla senatrice di Forza Italia Licia Ronzulli. Gli appuntamenti si susseguiranno ogni martedì. Una farraginosa road map approvata dal presidente della commissione – il leghista Andrea Ostellari, peraltro relatore al Senato del ddl Zan – che rischia di rinviare a data indefinita l’approdo del testo nell’aula di palazzo Madama.

Centrosinistra e sigle Lgbt definiscono la mossa ostruzionistica e provocatoria. “Un calendario con 170 audizioni è una presa in giro. Questa è la commissione Giustizia, non casa Ostellari. Il tentativo di affossare il testo in commissione è evidente, andiamo presto in aula senza relatore con la dichiarazione d’urgenza”, twitta, a lavori ancora in corso, la dem Monica Cirinnà. Il riferimento è all’articolo 77 del regolamento del Senato, che permette a un decimo dei componenti l’assemblea di chiedere di fissare un termine per l’inizio dell’esame di un provvedimento in Aula: sarà poi l’Aula stessa, a maggioranza semplice, ad approvare o meno la richiesta. È questa la strada che sembra voler seguire il Movimento 5 Stelle: “Adesso basta, ho le firme pronte. Ho aspettato gli altri partiti di centrosinistra, adesso ho l’ok dei colleghi di Leu, spero arriveranno anche quelle del Pd. Il tempo di raccoglierle e procediamo”, assicura la senatrice Alessandra Maiorino.

Anche tra i partiti favorevoli al ddl, però, spuntano i distinguo sulla strategia da tenere. “Mi sembra prematuro parlare ora di andare in aula, aspettiamo di vedere cosa succede in commissione. Non è che si possa andare in aula perché ci sono 170 audizioni. Cammin facendo si ridurranno: come si dice, il tempo lavora meglio degli uomini”, dice sibillino il senatore di Italia viva Giuseppe Cucca. Ostellari, da parte sua, si scaglia contro l’ipotesi di attivare l’articolo 77. “Chi ipotizza scorciatoie non dà mai un buon esempio di democrazia”, dice, “credo che dovrebbero lasciare svolgere i lavori”. E ricorda come le audizioni richieste fossero in realtà ben 225: “Ne ho tolte 55, non è stato semplice, ho dato io stesso il buon esempio”.

“Leggendo l’elenco dei soggetti convocati potremmo concludere, con amara ironia, che manca solo il mago Otelma. Possibile che il Senato debba ridicolizzare in questo modo le istituzioni democratiche del nostro Paese?”, attacca il segretario generale di Arcigay, Gabriele Piazzoni. “Le forze politiche che hanno raggiunto il compromesso sul testo di legge approvato alla Camera devono sostenere la conclusione del percorso legislativo. Si vada in aula, si discuta e si voti, senza altri scambi sulle nostre vite. Per una volta abbiano i partiti, Italia Viva inclusa, il coraggio di lasciare che sia l’aula a decidere se la legge deve o non deve essere approvata. Una legge manomessa e svuotata, che di contrasto all’omotransfobia ha solo il titolo, non serve a nessuno”, conclude.

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