Addio Maestro caro. Il vuoto che lasci nel campo musicale è enorme. Quello negli animi di chi ti ha seguito e cercato di capirti ancor di più. Io sono stato fortunato, perché ti ho ascoltato, visto, davanti a te sono stato immobile mentre cantavi in un teatro. Ero giovane, non era facile ascoltarti. Il tuo cinghiale bianco ci mostrò che si poteva essere visionari, i tuoi versi portavano direttamente dentro all’anima di una musica “altra”, rimasta, sedimentata nella memoria storica di più generazioni.

Ti ascoltavo con mio padre, oggi con mia figlia. Ti abbiamo amato perché non hai mai voluto esserlo. Ti abbiamo chiamato Maestro, perché in quell’abito sei sempre stato stretto. E come i veri maestri, hai avuto ragione su tutto, o quasi. Il signore di 60 anni che lascia in sala d’attesa le rose per la sua amata, di nuovo innamorato, colmo di passione perché la vuole rincontrare, me lo avevi spiegato tu quando mi raccontavi che i desideri non invecchiano quasi mai con l’età.

Avere una figlia, proprio come dicevi tu, vuol dire spendere la vita che mi resta con un essere speciale, per il quale dovrò superare lo spazio e la luce per non farla ammalare. Le tue rare parole in pubblico fanno risuonare ancora di più la nullità dei tanti che oggi dei tuoi testi si riempiono la bocca. Come tutti i maestri, sei stato inapparente ed irriducibilmente fedele a te e al tuo stile. Quasi come un Cèline della musica, sei stato, forse, stile puro.

Qualunque frase nel ricordati appare insufficiente e, per certi versi, sgangherata. Tutta la tua musica, i tuoi testi, tutta la tua arte sono stati un messaggio di avversione, derisione e sberleffo del potere. Del potere misero, micragnoso, inciucione e baciapile. Quei politicanti opachi, quegli intellettuali lacchè e proni al padrone di turno, quei parassiti senza dignità usi a maneggiare nell’ombra o a prostrarsi per quel palco e che tu hai sempre rifuggito, sono i primi ad aver preso d’assalto le tastiere saccheggiando i tuoi testi, senza capire minimamente che il tuo indice era puntato verso di loro.

Chi ti ha amato, tace, chi ti ha conosciuto, ti ascolta e ti tramanda. Chi ha cercato di raccapezzarsi nei tuoi testi ostici, ancora è alla ricerca di quel filo che hai voluto trasmetterci. La tua musica è stata un insegnamento di resistenza e rigore da tramandare ed insegnare. Sono nato, vissuto e invecchierò in quella terra dove, nelle balere estive, gli anziani hanno ballato sino a poco tempo fa. Oggi, come avviene da anni, correrò ascoltando in cuffia la tua “stranizza d’amuri”. Come hai detto tu, torneremo ancora.

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Grazie Franco, mi hai regalato conversazioni indimenticabili. Per ricordarti dico due piccole cose

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