Oggi il Recovery Giro fa siesta. Il gruppo lo chiama “il riposo del guerriero”. Fu il titolo di un romanzo scandaloso scritto da Christiane Rochefort, pubblicato in Francia nel 1958, quando il Giro fu vinto da Ercole Baldini (oro olimpico a Melbourne) e Fausto Coppi lo corse per l’ultima volta, piazzandosi malinconicamente al trentaduesimo posto, staccato di quasi un’ora dal “treno di Forlì” (esattamente 52’14”).

C’erano grandissimi campioni a disputarsi tappe e maglia rosa. Come l’immenso scalatore Federico Bahamontes, l’Aquila di Toledo, e il suo rivale di salite Charly Gaul, l’eroe della tempesta di neve sul Bondone. Spiccava il talento folle di Gastone Nencini, scavezzacollo delle discese a tomba aperta. Le volate erano monopolio del micidiale Miguel Poblet che correva col caschettino di cuoio (in realtà era pelato), cercavano di batterlo Pierino Baffi e Nino Defilippis detto il Cit.

Nel gruppo molto rispetto incutevano il saggio Aldo Moser, il più anziano dei fratelli di Francesco, e Arnaldo Pambianco. Guido Carlesi era tra i più seguiti dalla parrocchia degli aficionados che l’aveva ribattezzato il Coppino per via della sua impressionante rassomiglianza con Fausto. Nel 1961 avrebbe sfiorato il successo al Tour, battuto da Jacques Anquetil all’apice del suo predominio nelle corse a tappe, ma davanti a Gaul.

Era, quello, l’anno in cui venne istituita la Cee, la Comunità Economica Europea e quella dell’Atomo. Domenico Modugno aveva trionfato al festival di Sanremo con Nel blu dipinto di blu, leit motiv del gruppo per lenire la poetica ostinazione di Coppi e per incitare i gregari a recuperare borracce. Il 20 febbraio vengono dichiarati illegittimi i casini, grazie alla legge Merlin. Pochi giorni dopo, la criminalità milanese riempie le pagine di tutti i quotidiani, la rapina di via Osoppo (senza spargimento di sangue) ispira Montanelli.

Nelle librerie irrompe il Gattopardo di Tomasi di Lampedusa, lo scià di Persia ripudia la bella Soraya, il 25 maggio del 1958 il Giro riposa in Versilia mentre gli italiani votano e premiano la Democrazia Cristiana. Maglia rosa è Giovanni Pettinati, corre per la Torpado (me lo ricordo perché fu la mia prima bicicletta).

Allora l’approccio coi corridori era più sanguigno. A quei tempi, i corridori erano accaniti lettori dei giornali sportivi e delle cronache che li riguardavano. Non dimenticavano mai nulla e ad ogni ritrovo di partenza, se erano scontenti o arrabbiati, cercavano gli autori degli articoli che non gli erano garbati per dirgliene quattro. Era il gioco delle parti. Non c’era la tv che immortalava ogni centimetro percorso. Ti dovevi fidare di chi raccontava come era nata la tale fuga o come i big del gruppo avevano reagito agli allunghi degli avversari. Le confidenze erano patrimonio dei più intraprendenti. La corsa, se volevi, potevi seguirla con la tua vettura, ma dopo quelle delle ammiraglie. Vedevi da lontano i culi degli ultimi, raramente riuscivi ad infilarti alle spalle dei fuggitivi, con le moto degli organizzatori e dei fotografi. Così si cercava un posto ospiti nelle macchine delle squadre. Adesso seguire la corsa è vietato. E le ammiraglie non sono più ospitali come una volta.

E tuttavia, è rimasta inalterata la tradizione che il Giro del giorno di riposo è quello pedalato a parole. Grazie all’app Zoom, si sono alternati in un incontro virtuale con la stampa la maglia rosa Egan Bernal, in mattinata, e subito dopo pranzo, Remco Evenepoel, che lo tallona in classifica generale. La sfida dialettica è stata pacata. Il colombiano è stato cauto. Forse conscio di avere anticipato troppo la conquista del primato: “Non pensavo di essere già in maglia rosa a questo punto, anzi, i miei piani erano diversi, dovevo badare a non perdere più di tanto, invece… spero di restare forte anche nell’ultima settimana di corsa, la più delicata, e di recuperare bene dopo ogni tappa. Questa è la chiave per vincere il Giro”. Evenepoel? “Mi ha sorpreso, vuol dire che ha lavorato molto bene anche lontano dalle corse. Ha tanta classe, evidentemente”. Che vantaggio pensa di dover mantenere prima della crono che chiude il Giro a Milano? “Un minuto, e sarei al limite. Un minuto e mezzo sarebbe meglio”. Si deciderà tutto sul filo dei secondi? “No, in montagna i distacchi saranno più importanti”.

Evenepoel è apparso più sbarazzino, complici suoi ventun anni. Faccia sgarzolina, allegro, simpatico. Dice, ma io non gli ho creduto, che la lista degli avversari l’ha vista solo uno o due giorni prima di cominciare il Giro. E’ spavaldo: “Se non pensassi di vincere questo Giro, non mi sarei presentato alla partenza di Torino. Non sento alcuna pressione, sono felice di stare bene, dopo tutto quello che mi è successo. Sono alla pari con i migliori del mondo e questo è semplicemente fantastico!”.

Domani li attende la tappa più pittoresca, una specie di Strade Bianche, ossia di corsa come una volta, da Perugia a Montalcino (invidia invidia: per i vigneti che regalano vini sublimi), 162 chilometri, dove la metà degli ultimi 70 sono di sterrato, con una bella rampetta nel finale, con pendenze del 10-12 per cento, al Passo del Lume Spento. Un nome, un programma. Le previsioni parlano di giornata calda, dunque polvere in agguato. Bernal ha già partecipato, quest’anno, alle Strade Bianche. Evenepoel dice che è andato in ricognizione per studiare i settori sterrati. Paura di cadere? “Per superare ansie e timori delle discese, ho lavorato molto con un mental coach”. Bernal non si sbilancia: “Se non perdessi tempo, sarei contento”. Magari cedere temporaneamente la maglia rosa farebbe comodo alla sua Ineos. L’aria da birichino di Remco è un indizio?

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