Mentre si sta valutando con tutte le perplessità del caso l’ipotesi di allargare le indicazioni per il vaccino antiCovid AstraZeneca anche negli under 60, alcuni scienziati hanno lanciato una nuova ipotesi che potrebbe contribuire a ridurre il rischio, già molto raro, di trombosi: usare solo una mezza dose del vaccino. La proposta avanzata dall’immunologo Mauro Minelli, responsabile per il Sud della Fondazione italiana di Medicina personalizzata, è stata appoggiata anche da Andreas Greinacher, ordinario di Immunologia dell’ateneo tedesco di Greifswald, che ha sta studiando il meccanismo che innesca la trombocitopenia trombotica immunitaria indotta da vaccino (VITT).

Tuttavia, ha anche sollevato qualche perplessità. L’idea di Minelli, accolta con favore da Greinacher, è nata dal fatto che negli studi di fase III chi ha ricevuto metà dose del vaccino prodotto da Astrazeneca, pur avendo beneficiato di una buona produzione di anticorpi immunizzanti più basso, avrebbe riportato effetti collaterali “più deboli”. Da qui l’ipotesi di somministrare una mezza dose per ridurre le reazioni avverse e raggiungere lo stesso l’immunità desiderata. Si tratta di una considerazione logica, ma che non convince ancora buona parte della comunità scientifica.

“Mi sembra un’idea molto vaga”, dice Paolo Vezzoni, ricercatore presso l’Istituto di ricerca genetica e biomedica del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr-Irgb). “Per procedere in questa maniera sarebbe necessario comunque ripetere la sperimentazione, il che porterebbe via tempo e risorse preziose”, aggiunge. In effetti, l’ipotesi di Minelli e del collega tedesco si basa su un errore commesso durante la sperimentazione di fase III: la mezza dose data alla prima somministrazione, seguita poi da una dose intera, è stata solo una “svista”. Si era parlato di una nuova sperimentazione ma non se ne era fatto più nulla.

Quindi, la comunità scientifica concorda sul fatto che è necessaria una sperimentazione ad hoc che abbia come obiettivo valutare i rischi e i benefici di una mezza dose di vaccino. Questo significa che un allungamento dei tempi. “Affrontare un nuovo trial con almeno 40mila pazienti in questo momento non credo sia logico – sostiene Vezzoni – in più non possiamo sapere se questo effettivamente ridurrà il rischio di trombosi. Bisogna poi tenere presente che il vaccino non è un medicinale, per cui non funziona come un principio attivo: aumentare il dosaggio non ne amplifica necessariamente l’effetto, e viceversa”.

Quello che invece sappiamo, e che è stato ribadito più volte dall’Agenzia europea dei farmaci (Ema), è i numeri dei casi di eventi avversi gravi sono davvero rarissimi. “Gli episodi di trombosi si verificano con una frequenza estremamente bassa: un caso ogni cento o duecento mila somministrazioni”, dice Vezzoni. “In questo momento, non giustificherebbe l’utilizzo di fondi e di tempo per una nuova sperimentazione di un vaccino dichiarato sicuro ed efficace”, aggiunge. Del resto lo stesso Greinacher parla al condizionale. “È effettivamente possibile che mezza dose porti a un numero inferiore di eventi avversi, ma non abbiamo alcun dato a favore di questa ipotesi, e verificarla ora richiederebbe una quantità di tempo e denaro troppo ingente”, ribadisce Vezzoni, secondo il quale ora abbiamo la necessità di proseguire con la campagna vaccinale, rassicurando la popolazione sull’efficacia dei vaccini. “Credo sia fondamentale enfatizzare la necessità di ricevere l’immunizzazione – conclude Vezzoni – avanzare ipotesi che, per quanto valide, possono creare confusione e portare a panico ingiustificato, potrebbe spingere la popolazione a prendere decisioni tutt’altro che logiche, a rifiutare del materiale immunizzante in grado di salvare delle vite e ritardare l’inoculazione nell’attesa delle dosi di un concorrente piuttosto che un altro. Per sconfiggere la pandemia dobbiamo usare tutte le armi a nostra disposizione”.

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