E gira gira il mondo, dice il cantante, ma a girare davvero sono gli incarichi. Su questo giornale trovate i dettagli di un malcostume che non è certo solo italiano e che può essere visto da due punti di vista. Quello della politica come luogo di passaggio verso altre mete, se volete come luogo dell’effimero. Recentemente, un po’ a sorpresa e senza clamore, un deputato di nome Giovanni Sanga ha annunciato la sua intenzione di restare al timone di Sacbo, la società che gestisce lo scalo di Orio al Serio, rinunciando al seggio in Parlamento.

Ah bene, direte voi, una buona cosa che non ci siano conflitti: il fatto è che Sanga era appena stato nominato deputato, lo scorso gennaio, subentrando come primo dei non eletti del Partito Democratico, dopo le dimissioni dell’altro bergamasco del Pd, Maurizio Martina, passato all’alta carica di vicedirettore della Fao. Sanga è rimasto deputato per tre mesi. Più che un avvicendamento, una fuga. La giunta per le elezioni di Montecitorio stava verificando la compatibilità dei due ruoli del politico della Val Cavallina, ma non ha portato a termine l’istruttoria perché la faccenda si è risolta per le vie brevi.

Un episodio che svilisce la politica come luogo alto della costruzione del consenso e di rappresentanza sociale. Se la risalita delle sue quotazioni richiederà i suoi tempi, la questione più urgente, quella dei piccoli e grandi conflitti di interesse, potrebbe invece essere adeguatamente affrontata.

Il fenomeno delle sliding doors – niente a che vedere con il noto film – è ben conosciuto ovunque. In sostanza si tratta di un passaggio rapidissimo (talvolta sospetto) tra una onorata, ma non è detto, carriera nelle istituzioni o nella pubblica amministrazione e i vertici di aziende e società private nello stesso settore nel quale si operava. Capi di Stato maggiore o generali a quattro stelle appena pensionati tuffati nelle industrie di armamenti; ex ambasciatori al servizio delle multinazionali; parlamentari non più rieletti al servizio dell’attività di lobbying. Il settore pubblico ne esce depredato.

Uno scandaloso e vecchio malcostume – se ne occupò un saggio del 2009 del professor Raffaele De Mucci che fece il punto della situazione sulla politica rilevando, mestamente, che i sistemi elettorali non cambiano di una virgola questo comportamento. Se, appunto, la questione non riguarda solo noi, tuttavia l’Italia è percepita come il paese delle porte girevoli. Una volta l’ambasciatore americano Thomas Foglietta si lamentò con la solita invadenza, in un colloquio con La Stampa, dicendo che “i governi italiani sono come porte girevoli”.

Poi c’è tutto questo passaggio dalle aule parlamentari al mondo industriale dove viene pompato denaro come se piovesse; poi ci sono i magistrati: e basta porte girevoli, se lasci la toga per la politica poi non te la rimetti: e va bene, se ne parla molto ma non sarà che lì la faccenda riguarda meno persone di quelle che passeggiano dalla politica al mondo imprenditoriale? Persino Andreotti un giorno disse: basta porte girevoli nei gruppi parlamentari. Parlava di fronte a un folto gruppo di studenti dell’Università di Padova, sul tema ‘il compromesso e l’arte della politica’ – argomento di cui lui era principe, avendo fatto compromessi con i poteri occulti che hanno avuto in mano il nostro Paese.

Ma in tutto questo girare che ne dite, intanto, mentre si scrive la riforma del Csm e dell’ordinamento giudiziario, di stabilire qualche regola per tutelare la sfera pubblica contro il parassitismo di certe industrie e per stabilire che l’attività parlamentare deve essere esclusiva – nessunissima altra attività contemporanea, ma proprio nessuna – e per evitare che un parlamentare possa andare a fare il lobbista senza fare neanche un giorno di vacanza dopo la fine del suo mandato?

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