È il giorno delle arringhe finali di accusa e difesa per il processo di George Floyd, 46enne afroamericano che il 25 maggio 2020 ha perso la vita durante un fermo di polizia, con l’allora agente Derek Chauvin che lo ha immobilizzato a terra facendo pressione col ginocchio sulla nuca fino a quando l’uomo ha smesso di respirare. Ed è proprio su Chauvin che dovranno esprimersi i giurati, che decideranno se l’agente sia o meno colpevole di omicidio per aver tenuto premuto per oltre 9 minuti il ginocchio sul collo di Floyd, che lo implorava di fermarsi. Intanto a Minneapolis la tensione è alle stelle, sia per l’esito del processo che per la morte di Daunte Wright, il ventenne afroamericano ucciso otto giorni fa dalla polizia.

Il caso di Floyd è stato il simbolo dell’ondata di proteste e manifestazioni contro le violenze della polizia, specie negli ultimi mesi della campagna elettorale per le presidenziali, e col movimento di Black Lives Matter alla testa dei cortei. L’ex agente bianco del dipartimento di Minneapolis è accusato di omicidio preterintenzionale, ma anche di omicidio colposo di secondo e terzo grado. I procuratori hanno fatto questa scelta per dare così più possibilità alla giuria di raggiungere un verdetto di colpevolezza, e ridurre quelle di un’assoluzione dell’imputato.

Il dibattimento del processo è iniziato il 29 marzo scorso, dopo una lunga selezione dei giurati durata diverse settimane, e poi sono seguiti 14 giorni di testimonianze, in gran parte dell’accusa che ha chiamato molti dei testimoni che quel 25 maggio hanno cercato di convincere Chauvin a fermarsi. Ed ha mostrato in aula il video di quei 9 minuti che lo scorso anno ha fatto il giro del mondo provocando un’enorme ondata di proteste.

La difesa ha invece cercato con alcuni esperti di contestare il risultato dell’autopsia dei medici legali, che hanno stabilito che Floyd è morto per asfissia, provocata dalla pressione sul collo, affermando con a provocare la morte sono stati i suoi problemi di droga.
La scorsa settimana Chauvin si è appellato al quinto emendamento, che protegge gli imputati dalla possibilità di auto incriminarsi, per non testimoniare. Una volta concluse le arringhe, la giuria si riunirà in camera di consiglio e rimarrà isolata fino a quando non avrà raggiunto il verdetto.

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