Le imprese manifatturiere, nonostante la crisi Covid, grazie agli aiuti pubblici hanno visto la propria redditività ridursi solo di poco. Idem per il commercio. Il settore estrattivo e le utilities hanno visto addirittura crescere il margine di guadagno. Gli unici davvero affossati, con margini ampiamente sottozero, sono stati gli imprenditori della ristorazione, dell’alloggio e del turismo, seguiti da quelli dell’intrattenimento e delle arti e dal tessile: non solo sono stati più colpiti dalle restrizioni, ma per loro i i costi fissi sono calati molto meno rispetto al crollo del fatturato. La prima stima sull’impatto della pandemia differenziata per tipologia di attività e al netto delle misure di ristoro governative arriva dall’Ufficio parlamentare di bilancio, che nella memoria sul decreto Sostegni fa i conti in tasca ai diversi comparti partendo da dati dell’Agenzia delle Entrate. Non manca un risvolto interessante in vista della fine del blocco dei licenziamenti per l’industria e gli altri comparti coperti dalla cig, l’1 luglio: considerati gli ultimi dati sugli ammortizzatori, che per manifatturiero, costruzioni e trasporti sono tornati a livelli normali, i lavoratori a rischio potrebbero essere meno rispetto a quanto si temeva qualche mese fa. Poco più di 100mila.

La simulazione dell’organismo indipendente su fatturato e redditività pre e post coronavirus parte dall’analisi sui contributi a fondo perduto varati dal governo Conte 2 e su quelli messi in campo da Draghi, che a differenza dei precedenti sono parametrati al calo di ricavi nell’intero 2020 (spettano solo a chi ha perso almeno il 30%) e sono slegati dai codici Ateco. A valle di questo intervento “a parità di perdita di fatturato annuale, potranno emergere tra i beneficiari significative differenze nell’ammontare dei contributi complessivamente ricevuti“, nota nella memoria il presidente dell’Ufficio, Giuseppe Pisauro. Parole ancora più nette sono arrivate dal Ragioniere generale dello Stato Biagio Mazzotta, che durante un evento online ha detto che “probabilmente i ristori del 2020 sono andati a chi non ne aveva bisogno in buona parte, mentre alle imprese che ne avevano più bisogno non sono andati. Non si è colpito nel segno”.

Per questo Pisauro chiede al governo una riflessione sulla “diversa capacità delle imprese di adeguare i propri costi alla riduzione di fatturato”. I contributi legati alla riduzione dei ricavi, è il ragionamento, non tengono conto in alcun modo delle specificità di ogni settore per quanto riguarda i costi fissi. Così, se le aziende su cui il costo del lavoro pesa molto hanno avuto un sollievo notevole grazie alla cassa integrazione Covid, quelle gravate da affitti, manutenzione o spese incomprimibili per le materie prime si sono trovate in maggiore difficoltà perché gran parte di quelle uscite è rimasta a loro carico.

Il risultato emerge da una delle tabelle allegate alla memoria, in cui i costi sono stati stimati tenendo conto delle caratteristiche del settore e delle misure di sostegno adottate nel 2020: cig Covid, garanzie pubbliche e moratoria sui prestiti, esonero Imu e Irap, crediti di imposta sui canoni di locazione, flessibilità delle quote di ammortamento. Stando alla simulazione la manifattura, le industrie alimentari, le costruzioni e i trasporti, non toccati dalle restrizioni dell’autunno e dell’inverno 2020, nel corso dell’anno hanno visto diminuire i costi di una percentuale vicinissima al calo del fatturato. E di conseguenza il loro margine operativo lordo, nell’anno della pandemia, è rimasto invariato o quasi. Ben diversa la situazione per i ristoratori e le attività turistiche, artistiche e di intrattenimento. L’analisi mostra come, a fronte di un crollo del fatturato superiore al 40%, i loro costi siano diminuiti molto di meno (-29,8% per ristoranti e turismo, -36,4% per le attività artistiche). Così la redditività è crollata, passando dall’8,9 al -6,8% per i servizi di ristorazione e alloggio e dall’11 all’1,3% per attività artistiche e di intrattenimento. Forte calo anche per il settore tessile. L’unico aspetto positivo è che chi è attivo in questi settori ha molte probabilità di superare la perdita del 30% che dà diritto al contributo a fondo perduto del decreto Sostegni. Amara soddisfazione, considerato che i nuovi aiuti da 11 miliardi complessivi “spalmati” su 3 milioni di partite Iva non arriveranno al 5% del fatturato perso. E che solo chi ha lasciato sul terreno più del 65% degli incassi riceverà di più rispetto a quanto preso lo scorso autunno.

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