In Italia i bravi progettisti vanno cercati negli studi di architettura, fuori dai salotti televisivi e possibilmente lontano dai centri di potere. Siamo un paese che ancora crede che le “Archistar” siano i grandi architetti del momento e rimane imbambolato davanti allo sperpero di una vela incompiuta e disabitata e al nonsense di esclusivi boschi verticali. Eppure, di bravi architetti ce ne sono e anche di bei progetti. L’ultimo è dello studio romano BAN Carmelo Baglivo e Laura Negrini per la riqualificazione della Piazza Transalpina a Gorizia e la ricucitura urbanistica dell’area di confine.

La Piazza Transalpina è stata uno dei simboli della separazione politico-ideologica tra l’Europa occidentale e quella orientale durante gli anni della Guerra fredda, oggi è emblema di cooperazione e di pace. Il progetto si è aggiudicato il primo posto di un affollato concorso internazionale (56 proposte provenienti da 18 Paesi di quattro continenti) e si candida a rappresentare Gorizia e la slovena Nova Gorica, prossime Capitali europee della Cultura 2025.

Quello di Baglivo-Negrini è un progetto complesso, stratificato, articolato, in una parola: ardito. Hanno pensato ad una piazza che è anche il corpo emergente di un edificio ipogeo che si confronta con la dimensione della stazione ferroviaria Transalpina (1906), unica emergenza urbana rilevante presente nell’area. Posizionata esattamente sul confine di entrambi gli Stati (Italia e Slovenia), Piazza Europa è allo stesso tempo uno spazio pubblico coperto e scoperto; è la copertura del museo dell’Epicenter posto a un dislivello di cinque metri, ed è progettata come una macchina scenica che con la sua monumentalità costruisce un luogo storico.

Il progetto è come tutti quelli dello Studio BAN, un esercizio di esplorazione, di ricerca di uno spazio versatile; la loro energia narrativa è convincente, costruisce un mondo, inventa un linguaggio e scardina le certezze dei luoghi comuni della piazza.

La nuova piazza, disegnata come una griglia, è una lastra sospesa che poggia sui muri perimetrali del museo con elementi modulari mobili ascensionali che diventano tavolo, seduta, palco, e allo stesso tempo, alleggeriscono la copertura del museo assumendo la funzione di prese di luce e aria per le sale espositive.

La piazza e il museo per dimensione e funzioni sono complementari: sono il luogo per le attività ricreative e culturali, consentono installazioni temporanee, celebrazioni, concerti. Il risultato non potrebbe essere più versatile perché lo spazio della piazza – 1.500 mq – è completamente aperto e modificabile, così come quello del museo ipogeo – non integralmente coperto né totalmente esterno – in cui le tre sale previste, grazie alle pareti mobili, possono comunicare formando un unico ambiente completamente permeabile e passante. Le pieghe delle pendenze della piazza formano uno spazio concavo, e dallo scollamento delle ali laterali si accede alle funzioni interne del museo attraverso due ampie gradonate, usate rispettivamente come sala espositiva all’aperto e come cordonata per ospitare il pubblico.

Il forte impatto visivo, la volumetria della piazza, la combinazione dello spazio intermedio del museo, il cui interno è visibile dai moduli-lucernai della copertura, generano un ambiente architettonico vicino a un’installazione artistica.

La monumentalità del vuoto e la volontà di costruire una piazza che è un edificio restituiscono l’immagine di un’architettura inaspettata, insolita, la cui determinazione e definizione è rimessa ai cittadini e alla volontà dei due sindaci Rodolfo Ziberna e Klemen Miklavic, di dar seguito a un progetto che potrebbe diventare il simbolo delle prossime Capitali europee della Cultura 2025.

Immagini concesse dallo studio BAN

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