“Da remoto”. Nell’ultimo anno si sono moltiplicati gli annunci di lavoro di questo tipo. Bastano un computer e una buona connessione wifi: chi assume non richiede la presenza fisica in ufficio né la vicinanza del collaboratore. È un effetto collaterale del Covid: in Italia, secondo uno studio dell’Osservatorio smart working del Politecnico di Milano, i lavoratori agili sono passati da 570mila nel 2019 a 6 milioni e mezzo durante il lockdown della primavera 2020, con una stima di 5 milioni di persone che lavoreranno stabilmente da remoto nei prossimi anni. In pochi mesi si è ampliata la platea dei cosiddetti nomadi digitali: non solo creativi freelance e imprenditori, ma anche professionisti del marketing e della comunicazione, informatici e programmatori, insomma chi è in grado di svolgere online tutto il proprio lavoro. Nulla a che vedere, va sottolineato, con chi approfitta della libertà di circolazione con l’estero per andare in vacanza in Spagna o in altri Paesi che non richiedono quarantena all’arrivo e al rientro.

La conseguenza è che oggi migliaia di persone in tutto il mondo possono scegliere in autonomia dove stabilirsi. Così tra gli Stati è partita la gara per attirare questi lavoratori, e i loro redditi. In questa competizione un paese mediterraneo come l’Italia ha molto da offrire ai nomadi digitali del nord Europa, ma anche ai connazionali espatriati che stanno pensando di tornare. E già al primo gennaio 2020 è in vigore un incentivo fiscale: chi ha vissuto fuori dall’Italia per due anni e trasferisce la residenza fiscale nel nostro paese, può godere per cinque anni di una quota di reddito esentasse del 70 per cento, che arriva al 90 per cento per chi decide di vivere in regioni del centro-sud.

Ma sono molti gli stati del sud Europa che hanno visto nell’esplosione dello smart working un’opportunità per recuperare parzialmente quello che la pandemia ha tolto affossando il turismo. Come la Grecia, che ha introdotto un regime fiscale agevolato per chi trasferisce la propria residenza fiscale nel paese. Il dipendente che inizia un nuovo lavoro o il libero professionista pagherà le tasse solo sul 50% del reddito di fonte greca. I requisiti sono due: non aver avuto una residenza fiscale in Grecia negli ultimi sei anni e provenire da un paese dello Spazio economico europeo o con cui la Grecia ha un accordo di cooperazione in tema fiscale.

La Croazia ha creato un apposito permesso di soggiorno della durata di un anno, il “visto nomade digitale”, rivolto ai lavoratori extra Ue che lavorano nell’ambito della “tecnologia della comunicazione” come dipendenti da remoto o attraverso la propria attività all’estero. Il permesso si associa a un grande incentivo fiscale: per un anno non si pagano tasse, a patto di non lavorare per imprese croate e dimostrando di avere un reddito mensile di oltre 2mila euro. La Spagna ha introdotto la “residencia no lucrativa”: possono richiedere questo visto i cittadini extracomunitari che vogliono vivere nel paese iberico con un reddito da lavoro o una pensione straniera. In questo caso bisogna dimostrare di avere entrate per almeno 26mila euro all’anno e, di nuovo, l’attività lavorativa non deve essere legata alla Spagna.

Da agosto anche l’Estonia consente ai dipendenti e ai liberi professionisti che possono svolgere da remoto il proprio lavoro di chiedere un visto ad hoc per vivere un anno nel paese. Per ottenerlo è necessario dimostrare di aver avuto un reddito di almeno 3.500 euro nei sei mesi precedenti. E in Europa è nato anche il primo villaggio per i nomadi digitali: sulla costa meridionale di Madeira, arcipelago portoghese nell’Oceano Atlantico, in febbraio ha preso il via il ‘Digital Nomads Madeira’. Il progetto è pensato per ospitare fino a 100 persone: chi arriva si impegna a supportare le attività locali e in cambio può usufruire di postazioni di lavoro e connessione internet gratuita dalle 8 alle 22 in una struttura messa a disposizione dall’amministrazione locale. La prima fase proseguirà fino al 30 giugno.

Fuori dall’Europa una meta appetibile per i nomadi digitali di tutto il mondo è sicuramente Dubai: negli Emirati Arabi non esiste imposizione fiscale sui redditi delle persone fisiche. Da qualche mese è possibile fare richiesta per uno speciale visto che permette di rimanere nel paese per un anno e che offre accesso a linee telefoniche, servizi pubblici e scuole. Rimane il requisito dello stipendio, che deve essere di almeno 4.200 euro al mese. La Georgia punta invece sul basso costo della vita e sull’assenza di restrizioni anti Covid per attirare i lavoratori stranieri: dallo scorso agosto il visto consente di entrare nel paese e rimanerci per un anno anche a chi proviene da Stati considerati a rischio per la pandemia. Il governo si rivolge a dipendenti, freelance e imprenditori digitali che possono dimostrare un reddito di almeno 2mila dollari al mese.

Non mancano le iniziative di località turistiche esotiche. Barbados ha introdotto il ‘Barbados Welcome Stamp’ per “lavorare dal paradiso”, come ha detto il primo ministro Mia Amor Mottley. Il visto costa 1.700 euro e consente di rimanere un anno nella piccola isola dei Caraibi, ma per ottenerlo bisogna avere un reddito annuale di almeno 42mila euro. Costa solo 220 euro fare domanda per il programma lanciato in agosto dalle Bermuda, territorio d’oltremare britannico nell’Atlantico settentrionale: il ‘Work from Bermuda Certificate’ permette di vivere sull’isola come residenti per un anno ed è rivolto a lavoratori da remoto e studenti universitari. Le Mauritius hanno pensato a un visto che permette a turisti, pensionati e professionisti di rimanere nel paese per un anno, a condizione di potersi mantenere con una fonte di reddito esterna al paese. Con un ulteriore incentivo per i nomadi digitali: gli over 18 che arrivano sull’isola per lavorare da remoto possono ricevere gratuitamente il vaccino.

Foto da https://digitalnomads.startupmadeira.eu

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