di Claudia Di Maio

A più di un anno dalla pandemia una delle frasi più divulgate dai nostri canali di informazione è “le Regioni si muovono in ordine sparso”. Cosa condivisibile o meno – anche se molto spesso era sotto gli occhi di tutti – ma decisamente allarmante adesso che avremmo dovuto acquisire esperienza e siamo affidati al “Governo dei Migliori”. Il 2021 mi ha dato il benvenuto con la diagnosi di una patologia che mi ha spedita nella lista dei fragili, per cui il 24 marzo ho fatto il vaccino Pfizer. Non mi va di denunciare disservizi, attese (ben cinque ore) e code di over 80 e fragili in cui bisognava essere dei temerari per dare precedenza a qualcuno, bensì una situazione eticamente angosciante e burocraticamente incomprensibile. Parlo dei medici di base che in molte Regioni si sono rifiutati di somministrare i vaccini.

Questa pandemia ha visto come protagonista indiscusso il personale sanitario, che con impegno sovrumano e condotta eroica ha fatto – e continua a fare – da scudo contro un virus che sovente circola a causa dei nostri comportamenti sbagliati. Chi oggi viene meno ai propri obblighi professionali ed etici non fa parte dei paladini moderni sopracitati, ma purtroppo di una frazione di medici che si nasconde dietro al Covid-19 fin dagli albori. Quelli che – mentre neo-laureati e medici in pensione offrivano il loro aiuto come volontari anche fuori sede – ne approfittavano per “licenziare” (virgolettato perché spesso in nero) le loro segretarie e trincerarsi negli ambulatori, confinando la maggior parte dei pazienti oltre lo smartphone.

Ricordo ancora quando, dopo numerose insistenze, riuscii ad ottenere un appuntamento dal mio medico curante. Arrivai lì e – nonostante avesse una sala d’attesa di dimensioni ragguardevoli – venni lasciata 20 minuti sul pianerottolo, perché non era concesso attendere all’interno neanche da soli. Quando entrai il mio dottore era rilassato, talmente sereno da attribuire la sua quiete lavorativa agli effetti “positivi” della pandemia. Seppur quell’incontro avesse celebrato per me l’inizio di un mini calvario, la sua presenza si limitò quasi esclusivamente allo schermo del cellulare, tra ricette e domande insoddisfatte o ignorate. Persino quella sul vaccino, per la quale mi liquidò consigliandomi il numero verde.

È facile lasciar squillare il telefono, ignorare messaggi e ricevere pazienti solo se costretti, mimetizzandosi tra i colleghi onesti e veramente oberati di lavoro. Meno facile, però, dovrebbe essere rifiutarsi pubblicamente di somministrare i vaccini, cosa che va contro ogni morale o professionalità. Invece ci ritroviamo con articoli di giornale che parlano di “accordi con i medici di base” alla quale alcuni aderiscono ed altri no. E, a questo punto, mi sento confusa… perduta in una barzelletta dove lo Stato emana programmi vaccinali alla stregua di consigli (visto che la Sanità è di competenza regionale) e le Regioni contrattano con i loro stessi dipendenti affinché svolgano prestazioni incluse nelle loro funzioni.

L’esiguo numero di vaccini forniti che impedisce la scelta dei destinatari è tra le motivazioni più gettonate. Ma chi meglio del medico di famiglia potrebbe stilare una priorità tra i suoi pazienti? E, barcamenandomi, tra le giustificazioni pubblicate sui giornali sono rimasta ancora più perplessa. Lo ero io così come i miei compagni d’avventura del 24 marzo, che nelle interminabili ore di attesa, hanno condiviso esperienze analoghe o peggiori della mia, ma soprattutto manifestato un senso di smarrimento e rassegnazione nei confronti di coloro che sembrano aver dimenticato il solenne Giuramento d’Ippocrate.

Questa pandemia ha stravolto le nostre esistenze e aperto nuovi orizzonti. Spero siano quelli perseguibili da una presa di coscienza maggiore, da un pensiero altruistico e da una consapevolezza più ampia dei problemi della nostra società. Forse raccoglieremo molti cocci, ma spero non tutti, perché altrimenti ricostruiremo integralmente uno stivale che faceva acqua da tutte le parti.

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