È una burla, quella traiettoria: roba da schiaffi se si potesse. Magari in strada, in gioventù quel modo di giocare qualche schiaffo l’ha attirato davvero: piccoletto, irridente e pure una faccia che li tira, gli schiaffi. Quella traiettoria poi… Se sei in corsa per l’Europa, coi cugini che stanno vincendo lo scudetto per giunta, quando ti arriva un pallone all’altezza del dischetto non devi pensarci su troppo: devi tirare in porta, forte possibilmente, e fare gol. E invece? E invece se ti chiami Pato (e per chi ha dai 35-40 anni in su non c’è da chiedersi “Pato come?” e non ce ne voglia Alexandre) ti bei di quel caos che gira intorno a te: di Branco che ti chiede di metterla dentro, di Nello Cusin che è grosso e ti corre incontro assieme ai difensori del Bologna. Ti bei senza lasciarti condizionare: niente tiro in porta affrettato, la stoppi alzandola, la colpisci leggero di piatto e guardi quel pallonetto finire pian piano in porta, con una traiettoria che pare una linguaccia.

È il 10 marzo del 1991, trent’anni fa: un gol da urlo, il primo di Pato Aguilera al Dall’Ara in Bologna-Genoa. Il primo di tre gol da urlo: Pato, Pato, Pato. E in quel pallonetto c’è tutto Carlos Alberto Aguilera Nova detto Pato: papero. A Genoa lui c’era dall’anno prima: l’aveva voluto il professore Franco Scoglio per la Serie A, dopo averci portato i rossoblù. Scoglio vuole anche il russo Aleijnikov, la Juve lo soffia all’ultimo. Spinelli allora guarda all’altra parte del mondo: all’Uruguay prendendo Perdomo, e poi anche Ruben Paz e con 3 miliardi in più ci aveva aggiunto Pato. Lo voleva il Verona quell’attaccante, ma mister Scoglio era andato a coccolarselo fino a Montevideo l’anno prima: e quando arriva, scendendo dall’aereo, pare che il fido e compianto ds Spartaco Landini, vedendo quel ragazzotto di 1,62 con la faccia da torero si fosse parecchio preoccupato: “E chi glielo dice al pres che abbiamo un centravanti di 1 metro e 62?”. E invece… mentre infuria la disputa sulle mansioni più adatte a Perdomo in casa Boskov, cuccia e prato compresi, la risposta è che quel piccoletto è fortissimo. “Un Van Basten tascabile” lo definirà il Professore Scoglio. Intelligente, tecnico e soprattutto furbo: quasi spasmodico nella ricerca del miglior modo per beffare portieri e difensori. Ha la faccia da torero e pare pure che in campo ci vada con la muleta: quel gol di trent’anni fa al Bologna ne è un esempio perfetto.

La parte rossoblù di Genova lo ama, i vicoli, di qualunque colore siano, anche. Lui ricambia, un po’ troppo, tanto da trovarsi a giocare una partita da arrestato: i rossoblu devono salvarsi, lui rientra dalla Germania dove aveva giocato con l’Uruguay e trova i carabinieri ad aspettarlo. L’accusa è pesante: favoreggiamento della prostituzione, e viene portato in carcere. Spinelli e gli avvocati riescono però a ottenere un permesso di tre ore per svolgere il suo lavoro, i tifosi apprezzano con lo striscione memorabile: “Tranquille doriane, Pato non canta”. Pato fa il suo, con due assist che garantiscono la vittoria sull’Ascoli e la permanenza in A. Le stagioni successive, con Osvaldo Bagnoli, saranno memorabili: con Tomas Skhuravy accanto, nel 1990/91 segna 15 gol e ne fa segnare 15 al gigante slovacco, portando il Genoa in Coppa Uefa. L’anno dopo sarà addirittura migliore, con 22 gol Pato, assieme a Skhuravy, Branco, Stefano Eranio, Mario Bortolazzi porterà il Grifone in semifinale di Coppa Uefa, arrendendosi all’Ajax. Sarà l’ultima di Pato in rossoblu: pressioni politiche costringeranno Spinelli a cederlo al Torino, allora di proprietà di Borsano, amico di Bettino Craxi, grande tifoso granata. Al Toro Pato farà una grande stagione: 16 gol in coppia con Walter Casagrande con la vittoria della Coppa Italia, ma già a metà della stagione successiva Pato romperà col Toro, ritornando in Uruguay. Ad oggi è ancora uno dei calciatori più amati dal pubblico rossoblù: a partire dai gol e gli assist salvezza a quello in semifinale di Coppa Uefa, tra finte, assist e quel pallonetto irridente di 30 anni fa, con tripletta e triplo urlo finale: Pato, Pato, Pato. Pato!

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