Per la prima generazione di Millennials, quella che sarebbe diventata maggiorenne intorno al 2000, Paolo Poggi non è stato solo l’esterno d’attacco di un’Udinese bellissima che giocava col tridente, ma anche uno dei calciatori, assieme a Sergio Volpi, introvabili in una strana raccolta di figurine. Si compravano al bar le gomme da masticare avvolte in due mini foto dei giocatori, ma le loro due non uscivano mai dall’incartamento magico. Il caso finì in tv su Mi manda Rai3, addirittura venne fatta un’interrogazione parlamentare. Poggi entra così nella storia pop del calcio italiano, tanto che a lui e a Volpi hanno dedicato negli ultimi tempi canzoni, t-shirt e pagine nostalgiche sui social. Oggi Paolino, nato a Venezia esattamente 50 anni fa, è il responsabile dell’area tecnica (braccio destro dell’altro eroe locale Mattia Collauto, direttore sportivo) con delega ai progetti internazionali della squadra della sua città. Ha iniziato a giocare col Venezia da bambino. Le maglie erano neroverdi perché la fusione con il Mestre, che avrebbe portato in dote l’arancione, era ancora di là da venire. Poi l’esordio in prima squadra e nel corso di una brillante carriera tre ritorni, tutti per amore della squadra. Quattro con quello da dirigente.

Il suo Venezia è quinto in serie B
“Siamo molto contenti di come sta andando la stagione. La proprietà americana ha scelto di dare un’identità veneziana alla squadra, di ricreare un senso di appartenenza. L’anima locale del club deve saper trasmettere questo spirito ai dirigenti, ai giocatori, a chi lavora negli uffici della società. E soprattutto ai nuovi arrivati dall’estero, perché siamo un club aperto e di profilo internazionale. In questi mesi stiamo valorizzando i giovani che avevamo scovato negli anni precedenti con un attento lavoro di scouting, aggiungendo sempre qualche nuovo innesto. Abbiano un allenatore bravo. Oltre alle qualità tecniche, Zanetti è uno che riesce a farsi capire dai ragazzi, è schietto e chiaro nei rapporti”.

Proprio oggi compie 50 anni, ripercorriamo la sua carriera da calciatore. Quali sono stati gli anni più belli?
“Gli anni più belli li ho fatti con l’Udinese, dove ho ritrovato Zaccheroni che avevo già avuto a Venezia. Per distacco l’allenatore più importante. Anche a livello umano quell’esperienza è stata fondamentale, sono arrivato a Udine che avevo 24 anni ed ero un ragazzo e sono andato via a 31 che ero un uomo. L’apice l’ho raggiunto nella sfida di Coppa Uefa con l’Ajax dei De Boer, van der Sar, Litmanen e Blind. Abbiamo vinto la partita grazie a un mio gol. Era una bella Udinese, spregiudicata e un po’ incosciente”.

Prima era stato al Torino, dove aveva vinto la Coppa Italia segnando due gol nel doppio derby di semifinale con la Juventus.
“L’ultimo trofeo vinto dal Toro. Il popolo granata mi ricorda ancora con affetto. Per la storia che hanno alle spalle, i tifosi non dimenticano”.

Dopo l’Udinese una grande occasione: la Roma.
“Alla Roma mi hanno voluto Capello e Baldini, il dirigente che maggiormente ho apprezzato nella mia carriera. Sono stato in rosa solo alcuni mesi nell’anno dello scudetto, senza mai giocare. Mi è arrivata comunque la medaglia di campione d’Italia, a dimostrazione che la Roma di Franco Sensi era una società fantastica con grandi dirigenti. Nessun alibi, ho sbagliato io. C’erano in squadra campionissimi e a me è mancato il coraggio di affrontare le difficoltà. Rimane il privilegio di aver fatto parte di un gruppo tanto forte e tanto bello. Ma per me è stata un’occasione persa”.

Il 20 dicembre scorso il rossonero Rafael Leão in Sassuolo-Milan segna un gol dopo appena 6,76 secondi dal fischio d’inizio, battendo proprio il suo record.
“Il mio record è durato 19 anni. La particolarità fu che il gol arrivò su calcio d’inizio degli avversari. Non dunque su schema preparato. Dario Hubner, il mio compagno d’attacco in quel Piacenza, andò in pressione sui difensori della Fiorentina, la palla rimase là e ho fatto gol dopo 8 secondi”.

Era il 2001. Il calcio italiano veniva da un decennio ricco di talenti e difensori straordinari come Baresi, Maldini, Nesta, Cannavaro, Ferrara, Thuram.
“Paolo Maldini sarebbe un grandissimo anche nel calcio di oggi. Secondo me è stato il più forte della storia. Ma oltre ai campioni citati, alla domenica affrontavi altra gente tostissima come Vierchowod, Bruno, Annoni, Kohler, Montero. I difensori forti li salti o attraverso l’organizzazione di squadra o con colpi estemporanei, la prevedibilità non paga mai”.

E tra gli attaccanti con cui ha giocato, chi sceglie?
“Potrei dire Amoroso o Bierhoff, ma nomino Hubner con cui ho giocato sia a Piacenza che a Mantova. Il compagno ideale sia dentro che fuori dal campo”.

Chiudiamo con la famosa figurina, lei con la maglia dell’Udinese e Sergio Volpi con quella del Piacenza.
“Sorrido sempre quando incontro i ragazzi di allora che mi ricordano l’episodio. Io che da bambino ho fatto tante raccolte di figurine, quell’album non ce l’ho come non posseggo la figurina introvabile. Una simpatica storia infinita”.

Articolo Precedente

Ti ricordi… Quando Mino Raiola portò Bryan Roy al Foggia di Zeman: con “l’olandese dell’Ajàx” i pugliesi diedero spettacolo

next
Articolo Successivo

Napoli – Juventus 1 a 0, la polemica di Pirlo: “Non meritavamo di perdere. Il rigore? Come quello ce ne sono 3 o 4 a partita”

next