La crisi politica politica blocca i dossier caldi in mano a Cassa Depositi e Prestiti. Sospesi l’affaire Telecom, il dossier rete unica-Open Fiber e poi ancora quello Autostrade. La ragione? Ufficialmente questioni tecniche: si lavora per verificare le migliori opzioni industriali e finanziarie sul tappeto. Nella realtà, a rallentare le scelte del braccio finanziario dello Stato pesa anche il solito gioco di poltrone. Si avvicina la scadenza del mandato dell’attuale consiglio con l’assemblea per l’approvazione del bilancio 2020 (13 maggio in prima convocazione, il 20 in seconda). E con il possibile arrivo di Mario Draghi a Palazzo Chigi potrebbe cambiare anche la barra di comando della più importante realtà finanziaria del Paese. L’attuale amministratore delegato Fabrizio Palermo è stato voluto dai 5 Stelle che però in questa fase non hanno più la forza per sostenere un proprio candidato.

Inoltre, proprio per la strategicità del ruolo di Cdp, Draghi potrebbe puntare su qualcuno che gli sia più vicino. Magari un ex Goldman Sachs come lui. E come l’ex numero uno di Cdp, Claudio Costamagna. Naturalmente nulla esclude che la scelta del governo possa avvenire anche fuori tempo massimo: nell’ultimo passaggio di consegne, avvenuto nel 2018, ci furono diversi slittamenti prima che il Tesoro decidesse il da farsi come testimonia il fatto che l’attuale board fu nominato solo il 24 luglio 2018.

Il problema è che intanto si rischia lo stallo su partite di massima rilevanza per il futuro del Paese. Fra queste, quella sulla rete unica. Mercoledì 3 febbraio il consiglio di Telecom Italia ha preso atto dell’interesse dei maggiori soci (inclusa la francese Vivendi) per la presentazione di una lista di maggioranza da parte del board uscente. Tutti i maggiori soci, meno Cassa Depositi e Prestiti che si è presa un po’ di tempo per riflettere. Esattamente come ha fatto sulla possibilità di esercitare il diritto di prelazione per la quota di Open Fiber messa in vendita da Enel. E poi ancora sull’offerta per Autostrade per l’Italia. Tre dossier importantissimi su cui perdere tempo significa anche danneggiare gli italiani.

Soprattutto sul tema rete unica. Finora il governo dimissionario di Giuseppe Conte si è espresso a favore della creazione di un solo network in fibra di nuova generazione. Secondo quanto comunicato da Telecom alla nascita della sua società della rete FiberCop, le nozze sarebbero dovute avvenire nel primo trimestre 2021. E, invece, il dossier è ancora in alto mare. Enel, che controlla metà di Open Fiber accanto a Cdp, si è detta disponibile ad uscire dalla partita. A patto però che la sua quota venga valorizzata giustamente. E cioè almeno al prezzo che è disposto a pagare il fondo australiano Macquarie (oltre 2,65 miliardi). Cdp ha però una prelazione sulla quota di Enel e ha chiesto tempo fino al 25 febbraio per decidere il da farsi. Per allora ci sarà un nuovo governo. E forse anche un diverso indirizzo politico. Ma, di certo, i numeri non cambieranno e quindi sarà comunque difficile per il braccio finanziario dello Stato giustificare una fusione con FiberCop con una valutazione che consenta a Telecom di mantenere il 51% della futura società della rete.

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