Il Presidente Mattarella ha dato martedì la sua risposta alla crisi di governo; una risposta di altissimo livello democratico. Prima di affidare il nuovo incarico, ha indicato con parole semplici le poche vere priorità del Paese. Ha indicato lo strumento: un governo di alto profilo. Ha detto implicitamente che la stabilità politica fine a se stessa non basta più, che il Paese ormai se ne infischia, e lui non è disposto a sacrificare il buon governo per inseguire i ricatti dei partiti. Ha detto che non votare in anticipo è democratico, perché il Parlamento non viene affatto esautorato.

Il Presidente ha poi affidato l’incarico di formare il nuovo governo a un uomo, Mario Draghi, capace di tessere abili tele politiche, e con le idee chiare sul che fare. Che promette un approccio scientifico e organizzato alla prevenzione epidemiologica; una selezione degli investimenti pubblici basata sulla analisi dei costi e benefici, invece che sui soliti criteri politici; uno spread più basso e una particolare attenzione ai giovani. È quel che ci vuole: tutto il resto è noia. Lo dice uno che nel 2011-2015 lo ha criticato fermamente: googlare per credere. Non siamo cambiati né io né Draghi, ma le circostanze.

Ora la palla passa di nuovo ai politici: soprattutto ai 5 Stelle. Sarebbe il colmo se, dopo aver fatto governi con tutti, non ne appoggiassero uno di alto livello; e solo perché essi (o alcuni di essi), non avendo un profilo di alto livello, verrebbero esclusi dall’esecutivo. Sarebbe una meschina rappresaglia contro gli italiani, che non lo dimenticherebbero. Questa non è l’ora dei pregiudizi ideologici: i partiti devono mettere da parte i loro fantasmi, i loro pallini, le loro frammentate priorità per confrontarsi con quelle di Mattarella e Draghi (che bene interpretano quelle dei cittadini).

Quanto a Draghi, non può permettersi di fallire nel Paese: ucciderebbe la speranza, ora e per decenni. Gli italiani, già parecchio cinici, si convincerebbero ancor più che non esiste un modo migliore di governare di quello di Conte, Salvini, Speranza, Renzi, Di Maio, Zaia e Gallera. Meglio allora rinunciare all’incarico, se manca il sostegno politico; o un domani, farsi sfiduciare dal Parlamento, aprendo le porte alle elezioni politiche generali. In tal caso, le istituzioni stesse sarebbero a rischio, e il Paese sbanderebbe; ma resterebbe viva la speranza di un’alternativa, di un sistema e una classe politica migliori; e con essi, la voglia di lottare. È questa la linea di resistenza morale che lo stesso Mattarella ha indicato.

Per essere fedele a questa linea, Draghi dovrà indicare senza ambiguità quali strategie intende seguire nella lotta alla pandemia, nella gestione del Recovery Fund, nel rafforzamento (della qualità) della pubblica amministrazione. Non potrà praticare il continuo rinvio delle decisioni difficili, tipico del suo predecessore. Per avere qualche possibilità, dovrà subito, all’inizio sfidare i partiti: a negargli la fiducia, o a seguirlo. Per esempio sulla pandemia, l’esperienza di tutti i Paesi virtuosi – dalla Norvegia al Giappone, da Singapore all’Australia – è di stroncare la pandemia con un lockdown duro iniziale, e poi tenere bassa la circolazione virale, investendo sui test monoclonali, tracing, isolamento, e vaccini. È il modo migliore per salvare l’economia nel lungo termine.

Ma se la sente Draghi di scegliere un Ministro della Salute controverso come Andrea Crisanti e proporre di chiudere tutto per un mese? Con la stanchezza che c’è in giro? Draghi dovrà essere molto convincente in Parlamento e davanti agli italiani. E coinvolgere attivamente la gente, il volontariato, nella campagna vaccinale, nell’assistenza domiciliare, nella formazione.

Draghi dovrà anche spiegare cosa significa “essere uniti” a un popolo di 60 milioni di abitanti, ognuno con la sua testa. L’esperienza a Francoforte, fra i tedeschi, gli avrà insegnato che “unità” e “patriottismo” non significa pensarla tutti allo stesso modo; significa, una volta presa una decisione, remare tutti nella stessa direzione. Draghi deve conquistare la fiducia non solo dei politici, ma anche di tutti noi. Purché, però, gliene diamo il tempo.

Chieda, Draghi, tre mesi di luna di miele al sistema politico e al Paese, tre mesi per il primo tagliando, il primo giudizio. E speriamo bene.

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