Lo scorso 23 gennaio, il passaggio del ciclone Eloise in Mozambico ha colpito (secondo stime preliminari) almeno 250mila persone, causando 18mila sfollati e la distruzione di scuole, strade e altre infrastrutture dall’importanza vitale. Si tratta del terzo ciclone a devastare il Paese africano dal 2019, quando i cicloni Idai e Kenneth causarono estesi allagamenti anche in Malawi e Zimbabwe. Provocando il danneggiamento di oltre 100mila case, 1200 morti, danni per circa 2,2 miliardi di dollari alle infrastrutture locali e dando il via a epidemie di colera e infezioni intestinali.

I cicloni tropicali sono tempeste che hanno origine sull’oceano quando l’acqua superficiale raggiunge o supera i 26 gradi centigradi circa. Una situazione che non dovrebbe migliorare, dato che l’aspettativa generale è di un aumento delle temperature, e di conseguenza delle precipitazioni estreme da parte dei cicloni che si abbattono sull’Africa orientale.

Un indice del rischio climatico rilasciato solo pochi giorni fa dall’organizzazione Germanwatch mostra che proprio Mozambico e Zimbabwe sono stati i Paesi più duramente colpiti da eventi climatici estremi nel 2019. E il report “Weathering the Storm”, pubblicato da Greenpeace Africa nel novembre del 2020, spiega che eventi meteorologici estremi – tempeste, inondazioni, siccità, ondate di calore estremo e attacchi di locuste – stanno diventando più insopportabili e imprevedibili in tutto il continente.

“Pensieri e preghiere da soli non risolveranno la crisi climatica alla base del ciclone. Le condizioni meteorologiche estreme diventeranno più intense e le conseguenze per le comunità più gravi, a meno che il presidente Nyusi (presidente del Mozambico, ndr) e le sue controparti nella Comunità per lo Sviluppo dell’Africa Meridionale non prendano seri provvedimenti per il clima”, ha dichiarato Happy Khambule, campagna Energia e Clima di Greenpeace Africa.

Ma perché quanto sta succedendo in Mozambico interessa in qualche modo anche l’Italia? Sappiamo ormai benissimo che, come ci spiega la scienza, a rendere sempre più devastanti gli eventi meteorologici estremi sia soprattutto lo sfruttamento di combustibili fossili, come petrolio e gas fossile.

Risorse che abbondano nello Stato africano, come dimostra la presenza nel Paese di diverse multinazionali dell’oil&gas, tra cui Eni – azienda al 30 per cento di proprietà dello Stato italiano – che ritiene il Mozambico “uno tra i Paesi più promettenti del continente africano nel settore energetico”.

Eni opera in questa parte di continente africano insieme ad altre multinazionali straniere come la francese Total e la statunitense Exxon. Ma, come racconta Re:Common citando un report di Friends of the Earth, lo sfruttamento del gas del Mozambico è “una manna dal cielo ancora per pochi e una maledizione per la popolazione civile”. Insieme a importanti scoperte di riserve di idrocarburi, infatti, negli ultimi anni nel Paese si sono registrati scandali economici e, di recente, anche violenze di matrice terroristica. Che si aggiungono ai devastanti eventi climatici estremi che, come spiegato in precedenza, sono sempre più forti e imprevedibili proprio anche a causa dello sfruttamento dei combustibili fossili.

Cittadine e cittadini africani però non ci stanno e chiedono a gran voce azioni di contrasto all’emergenza climatica in corso. Come racconta Happy Khambule di Greenpeace Africa, infatti, “migliaia di persone in tutto il Continente si stanno sollevando per chiedere ai leader di dichiarare emergenza climatica e agire coraggiosamente per salvaguardare le vite, le comunità e il nostro futuro”.

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