Cinema

Il silenzio degli innocenti 30 anni dopo, Anthony Hopkins e Jodie Foster raccontano quel “set inquietante” tra emozioni e ricordi

Girato con una quantità inesauribile di soggettive e scavalcamenti di campo il film del compianto Jonathan Demme è allo stesso tempo cinema avvincente nella trama e magnetico a livello visivo

di Davide Turrini

“Clarice, gli agnelli hanno smesso di gridare?”. Anthony Hopkins e Jodie Foster insieme trent’anni dopo Il silenzio degli innocenti. Era il 14 febbraio del 1991 quando il film del compianto Jonathan Demme uscì nelle sale. E nessuno quel giorno avrebbe mai pensato al successo che il thriller/horror, basato sul romanzo di Thomas Harris, avrebbe ottenuto nel mondo dopo pochi mesi la sua presentazione al Festival di Berlino (dove Demme vinse il l’Orso d’Argento per la regia a pari merito con Ricky Tognazzi per Ultrà).

Successo poi consacrato l’anno successivo con la vittoria di cinque Oscar: miglior film, regia, attore, attrice e sceneggiatura non originale. Hopkins oggi 83enne (all’epoca 53enne) e la Foster oggi 58enne (all’epoca 28enne) hanno ricordato e rivissuto i momenti di lavorazione del film in un’oretta di chiacchierata informale e familiare dove sono finiti anche per chiamarsi con il loro nome sul set: lui rivolgendosi a lei come Clarice; e lei verso di lui chiamandolo dottor Lecter. Hopkins ha ricordato quando nel 1989 stava recitando in un teatro londinese una versione di M. Butterfly e gli è pervenuta la sceneggiatura del film. “Cos’è una fiaba per bambini?”, ha detto al suo agente. “Era un caldo pomeriggio d’estate quando ho iniziato a leggerla. Dopo dieci pagine ho telefonato al mio agente e gli ho detto: mi stanno offrendo davvero questa parte? Perché è la migliore che abbia mai letto – ha spiegato Hopkins – Dopo la lettura completa Jonathan è venuto un sabato a cenare con me. Era un ragazzo meraviglioso con cui lavorare. Comunque non potevo credere alla fortuna che mi era capitata, pensai davvero che avevo appena vinto un Oscar”.

La Foster ha invece rammentato la prima lettura del copione in una stanza assieme a Hopkins e Demme: “Appena ti ho sentito recitare la parte di Hannibal Lecter ho come percepito un brivido lungo la schiena. Dopo quello era come se fossi troppo spaventata per continuare a parlarti”. Hopkins ha ricordato anche di come gli venne assegnata la tuta da carcerato in scena e quando spiegò a Demme che Lecter doveva avere una voce “come una macchina, come HAL il computer di 2001”. La Foster ha poi parlato di “set inquietante” rievocando soprattutto quel tunnel/corridoio che affianca le celle dei detenuti tra cui quella di Lecter. Il ricordo è poi scivolato sul personaggio di Clarice. Hopkins l’ha definita con meraviglia: “Ricordo quando per la prima volta Jonathan mi ha mostrato i giornalieri recitati da te. Ricordo quella in cui entri nell’ascensore con tutti quei gran ragazzoni dell’FBI. Ho pensato: è fantastico come è stato disegnato questo personaggio, una persona piccola in questo grande mondo maschile e maschilista che entra in scena da eroe”.

Il silenzio degli innocenti costò 18 milioni di dollari e ne incassò quasi 300. Lecter divenne un’icona mefitica ineguagliabile della storia del cinema, maschera forse anche un po’ ingombrante per l’attore inglese, che da quel momento in avanti sfondò definitivamente nel cinema hollywoodiano. Come in molti sapranno inizialmente regista e attori non erano quelli che poi presero definitivamente parte al progetto: la Orion Pictures aveva pensato a Gene Hackman addirittura alla regia e nel ruolo di Jack Crawford (che poi andò a Scott Glenn), mentre Michelle Pfeiffer e Sean Connery erano stati contattati inizialmente per interpretare Clarice e Lecter. Per fortuna che il progetto finì in mano a Demme. Un autentico talento proveniente dalla scuola di Roger Corman, capace di fondere sperimentalismo formale a grande commerciabilità di genere.

Il silenzio degli innocenti, girato con una quantità inesauribile di soggettive e scavalcamenti di campo, è allo stesso tempo cinema avvincente nella trama e magnetico a livello visivo, oltretutto a cavallo tra un tradizionale thriller alla ricerca della suspense, il grand guignol dell’horror, e una dimensione più introspettiva legata ai personaggi principali. Un cinema infine politico, inteso come mezzo di affermazione personale dello sguardo del regista/autore all’interno della grande industria di un proprio forte marchio di stile e poetico. Demme è morto a 73 anni nel 2017.

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