Ogni volta che Pd e Movimento 5 stelle tendono la mano per “ricomporre le differenze” in maggioranza, Italia viva minaccia di ritirare le sue ministre. Se il presidente della Repubblica Sergio Mattarella lancia un appello a “non sprecare energie per inseguire illusori vantaggi di parte“, due giorni dopo Matteo Renzi si dice “pronto” alla resa dei conti in Parlamento. E anche ora che il Recovery plan è stato modificato su indicazione dei vari partiti, i renziani criticano la brevità delle bozze ricevute, mentre solo un mese fa contestavano a Palazzo Chigi di aver presentato “un piano di 100 pagine” senza prima passare da una “discussione parlamentare”. Parola di Maria Elena Boschi. In pratica da quando è iniziata la telenovela della pre-crisi di governo che ancora crisi non è, a ogni tentativo degli alleati di ricucire lo strappo, Renzi e i suoi hanno risposto picche. Alzando di continuo il livello dello scontro. Basta mettere in fila le dichiarazioni per capire il meccanismo, a partire dal quel Consiglio dei ministri sul Piano di ripresa post-Covid del 7 dicembre – interrotto anzitempo per la positività (poi rivelatasi un errore) della ministra Lamorgese – da cui tutto è cominciato.

Inizia lo scontro: Orlando chiede di abbassare i toni, ma Renzi lancia la sfida a Conte – Sono i giorni in cui trapela l’ipotesi che a gestire i fondi Ue sarà una governance piramidale guidata dal governo con sei manager pubblici. Le ministre renziane arrivano al vertice di Palazzo Chigi con una posizione chiara sin dall’inizio. “Costruire una struttura parallela di cui il Parlamento non sa nulla è evidente che è un modo per esautorare il Paese dalla progettazione del proprio futuro”, sostiene Bonetti prima di sedersi al tavolo con gli alleati. Il giorno dopo Renzi è ancora più esplicito, sostenendo che “se le cose rimangono come sono voteremo contro“. Il vicesegretario del Pd, Andrea Orlando, si affretta quindi a chiedere di “abbassare i toni, pesare le parole, coinvolgere ed includere. Il Paese è già molto provato e non ha bisogno di altri conflitti. Lavoriamo insieme per spendere bene tutte le risorse disponibili”. Ma il leader di Iv, che il 9 dicembre interviene in Senato, lancia il guanto di sfida a Conte. “È il momento di dirci le cose in faccia”, tuona in Aula, puntando il dito oltre che sul Recovery sulla Fondazione per la cybersecurity voluta dal premier. Renzi evoca quindi il passo indietro delle sue ministre qualora le sue richieste non vengano accolte.

Zingaretti media, il giorno dopo il leader di Iv destabilizza il governo in pieno Consiglio Ue – Nel day after il segretario dem prova a tentare di placare gli animi. “È da irresponsabili dare spazio a rigidità e incomprensioni”, scrive su Facebook. Poi chiede di risolvere i problemi “nel quadro di un limpido confronto tra l’insieme del governo e le forze politiche che lo sostengono”. Come? Ponendo i temi “in modo costruttivo e non distruttivo“. Il modo scelto da Renzi è però quello di rilasciare una doppia intervista al Messaggero e a El Pais proprio mentre il presidente del Consiglio si trova a Bruxelles per chiudere l’accordo sul bilancio dell’Unione e sul Recovery. Le sue parole non lasciano spazio a dubbi: “Se Conte non fa marcia indietro siamo pronti a far cadere il governo“. Non il migliore biglietto da visita per il premier, specie se si pensa che all’estero l’Italia gode da sempre di una cattiva reputazione proprio per i continui cambi della guardia ai suoi vertici.

12 dicembre: Fico avverte sul rischio elezioni e Anzaldi lo accusa di prevaricare Mattarella – I toni da rissa non risparmiano nemmeno le più alte cariche dello Stato. Il 12 dicembre il presidente della Camera Roberto Fico dice a Repubblica che serve “un confronto tra le forze di maggioranza”, anziché un rimpasto. Poi avverte che “se cadesse questo esecutivo, l’unica strada possibile è il voto. Le condizioni per una nuova maggioranza non ci sono“. Il renziano Michele Anzaldi ignora la prima parte del messaggio e attacca solo sulla seconda: “Sono sicuro” che Fico “non avesse intenzione di lanciarsi in improvvide invasioni di campo sulle prerogative del presidente della Repubblica, in merito ad eventuali elezioni anticipate“.

Giro di incontri a Chigi: Crimi positivo, Renzi tira per la giacchetta gli alleati – Di fronte allo stallo il presidente Conte decide quindi di prendere in mano la situazione e convoca i partiti a Palazzo Chigi per raccogliere le loro proposte sul Recovery plan. Il Movimento 5 stelle si mostra fiducioso: “Posso dire che non ho visto ultimatum” e che sul tavolo sono arrivate “anche delle richieste di buon senso e condivisibili”, dichiara il capo politico reggente Vito Crimi a Rainews 24. “Troveremo presto la quadra”. Ma evidentemente il senatore semplice di Rignano sull’Arno non la pensa così. “Noi abbiamo detto ‘Presidente, se vogliamo andare avanti noi ci siamo con lealtà, se ritieni che quello che proponiamo non va bene, con rispetto per le istituzioni, noi ci alziamo e ci dimettiamo‘”, spiega, aggiungendo persino che “il Pd mi pare d’accordo su tutto” con Iv. La replica del vicepresidente Pd Michele Bordo è secca: “Renzi parli per Italia viva e ci lasci stare”.

Dopo Natale la crisi accelera – Prima delle vacanze natalizie i toni sembrano distendersi, tanto che anche per Ettore Rosato “qualcosa è cambiato” nelle trattative interne alla maggioranza. Ma è un bluff. Quando Zingaretti, il 28 dicembre, torna a tendere la mano ai renziani, riceve qualcosa di più che una porta in faccia. In serata il leader di Iv presenta infatti il suo Piano Ciao30 pagine di critiche al Recovery plan elaborato da Conte e 13 righe di proposte – e continua con il refrain delle minacce: “Se c’è accordo su questo bene. Altrimenti è evidente che faranno senza di noi e le ministre si dimetteranno”. Il meccanismo di dichiarazioni distensive da parte di Pd-M5s e di replica senza appello dei renziani va in scena anche il giorno dopo, ma l’apice si raggiunge a cavallo di Capodanno.

Mattarella: “Non inseguire illusori vantaggi di parte”. Iv pronta alla “conta in Parlamento” – Alle 20.30 del 31 dicembre il capo dello Stato parla agli italiani facendo una summa di uno degli anni più bui della storia mondiale. È stato l’anno della “pandemia che mette a rischio le nostre esistenze, ferisce il nostro modo di vivere”, e ha “scavato solchi profondi nella nostra società“, dice Mattarella. Il 2021, quindi,“deve essere l’anno della sconfitta del virus e il primo della ripresa“. Quello che si apre sarà un “tempo di costruttori“, “un passaggio decisivo per uscire dall’emergenza”. Per questo motivo “non si deve perdere tempo” e “non vanno sprecate energie e opportunità per inseguire illusori vantaggi di parte”. Un evidente riferimento alle divisioni interne alla maggioranza. I renziani non si sentono chiamati in causa e plaudono al discorso del Colle, rivendicando il loro ruolo di “costruttori”. Ma due giorni dopo Renzi torna sul luogo del delitto – Il Messaggero – e, certo di poter contare su un’eventuale maggioranza alternativa in Parlamento, a Conte dice: “Se ha scelto di andare a contarsi in aula accettiamo la sfida”.

5 gennaio: Orlando vs Rosato – Nonostante tutto, Pd, Leu e Movimento 5 stelle vanno avanti con le trattative e tornano a sollecitare il rilancio di legislatura piuttosto che una spaccatura dagli effetti “imprevedibili. In serata la replica arriva direttamente dal leader di Iv, seduto nel salotto televisivo di Nicola Porro su Rete4, che chiede un accordo preliminare sui contenuti. “Poi vedremo se il premier sarà Conte o un altro“, sibila in diretta. Il giorno dopo si arriva pure al paradosso: quando Andrea Orlando prova a imbastire con Fanpage.it un ragionamento simile a quello di Renzi – se c’è volontà politica le formule per eventuali rimpasti si trovano – Rosato sceglie di rispondere sull’unica cosa che divide di sicuro le forze di maggioranza. Cioè sul rischio di tornare alle urne in caso di crisi. “Orlando – dice piccato il presidente di Iv – vuole andare a votare perché per lui stare all’opposizione di Salvini è meglio che stare al governo con Renzi”.

A un passo dal salto nel buio – Il cerchio si chiude dopo l’Epifania, quando vengono ultimate le modifiche al Recovery e Conte ringrazia i partiti per i “miglioramenti” fatti al piano, ricevendo una risposta quantomeno contraddittoria da Renzi. Segno che forse neanche Italia viva ha bene in mente come sciogliere la matassa che ha contribuito a ingarbugliare. L’ex segretario del Pd prima ammette che “il governo sembra aver cambiato idea” sul Piano di ripresa, salvo poi lanciare l’ennesima frecciata al premier: “Se Conte è in grado di lavorare lo faccia, altrimenti toccherà ad altri. Ha detto che è pronto a venire in Aula, lo aspettiamo lì”. È con questo spirito che la delegazione di Iv si siede al tavolo di maggioranza convocato l’8 gennaio a Roma per discutere del nuovo Recovery plan, rivisto soprattutto per andare incontro alle richieste dei renziani.

Durante la riunione va in scena l’ennesimo – e forse ultimo – strappo: Faraone, Boschi e Bellanova protestano perché “il documento sul Recovery Plan non c’è: c’è una sintesi di 13 pagine e una tabella. Il Paese ha bisogno di serietà e ciò comporta leggere e studiare un testo completo“. Eppure esattamente un mese prima era stata proprio Maria Elena Boschi a protestare per aver scoperto l’esistenza di “un piano di 100 pagine che commissaria i ministri“, elaborato dal premier senza passare per la discussione in Parlamento. La replica del titolare del Tesoro Roberto Gualtieri riassume in una frase il senso della crisi: non ci si poteva presentare al vertice con il Piano già scritto senza aver prima capito se tutti i partiti fossero d’accordo con le modifiche apportate su loro richiesta. Se Palazzo Chigi l’avesse fatto, Italia viva l’avrebbe attaccato “anche per questo”. E così si torna al punto di partenza.

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