Agli occhi di chi fa scuola “per cambiare il mondo” è il sogno che si realizza. Un sogno che ha i contorni di un edificio di Mathare, una delle più grandi baraccopoli del Kenya, sicuramente “la più svantaggiata”, alla periferia di Nairobi. Cinquecentomila abitanti, una densità di popolazione, stando ai dati, a cui sembra impossibile credere: oltre 60mila abitanti per chilometro quadrato. “Un sovraffollamento pazzesco”. La prima scuola internazionale per bambini profughi in Africa nasce qui. L’ha realizzata, insieme ai volontari della ong Still I rise, il giovane cooperante Nicolò Govoni, 27 anni, originario di Cremona. Alla guida dell’organizzazione non governativa da qualche anno impegnata a “offrire educazione d’élite ai bambini dimenticati da tutti”, Nicolò da inizio anno dedica anima e corpo al progetto. E oggi, contattato da ilfattoquotidiano.it mentre si trova nel cantiere della scuola in via di completamento, può finalmente dire: “Ce l’abbiamo fatta”.

Spiega la sua mission: apriamo scuole per cambiare il mondo. Un bambino alla volta. Perché loro sono il futuro, “e noi – racconta Nicolò – continuiamo a sognare un mondo migliore, dove la pace, la giustizia e l’equità prevalgano”. Bambini rifugiati e orfani sono la popolazione di riferimento nelle scuole della ong. Istituti gratuiti e di alta qualità, dove si insegnano lingue (per capirsi); matematica e scienze (per promuovere uno spirito critico); arti performative (per generare creatività); storia, geografia e sociologia (conoscenze “indispensabili per cambiare il domani”); educazione alla salute (per prendersi cura di sé). Di scuole internazionali in Kenya ce ne sono altre sette, con due differenze sostanziali rispetto alla “mosca bianca che abbiamo creato noi tra mille difficoltà”, spiega il giovane cooperante: a Mathare la struttura sarà gratis (contro un costo medio degli altri istituti di 10/20mila dollari l’anno) e non sarà per le élite (seppur sarà di alto livello la formazione-istruzione), bensì per “persone svantaggiate”. E sarà la loro arma “per cambiare il mondo”, afferma Nicolò, parafrasando Nelson Mandela.

Quando dai l’educazione ad un bambino, ad ognuno dei 150 – ma a regime la scuola ne terrà 300 – che frequenteranno la Still I Rise International School, “non ne beneficerà solo lui – osserva Govoni – ma tutte le persone con le quali lui verrà in contatto. Una dopo l’altra, fino all’intera società”. Lo staff della ong che gestirà la scuola, attualmente, è composto da una decina di persone, tra italiani e kenioti. Quando la scuola prenderà avvio (“probabilmente a gennaio, Covid permettendo”) ci sarà un insegnante ogni 15 ragazzi – la media in Kenya è di un docente ogni 45/50 alunni.

Sono due i tipi di scuola, e quindi di didattica e formazione, che la ong di Nicolò va realizzando: i cosiddetti centri di emergenza, in Grecia (sull’isola di Samos) e in Siria (a Ad-Dana, nel Nord-Ovest), e vere e proprie scuole internazionali, come in Turchia e in Africa. Nei primi due luoghi si tratta di progetti educativi a breve termine di integrazione per giovani migranti, dove ci si preoccupa anche dell’alimentazione e dell’assistenza medica. In particolare sull’isola dell’Egeo l’obiettivo è dare educazione a ragazzi e ragazze dai 12 ai 18 che vivono nel campo-profughi; nel Paese mediorientale, nel centro educativo denominato Ma’a, vengono invece accolti gli sfollati interni che hanno lasciato le città per scappare dalle bombe, “affinché i nostri studenti possano tornare ad essere bambini”.

Di lungo termine, anche della durata di sette anni, invece, i progetti di formazione concretizzati in Turchia e in Kenya. Progetti che per qualità e tempo, sostiene Nicolò, “hanno pochi eguali nel mondo della cooperazione internazionale”. Durante l’ultima grande scommessa africana, fortunatamente non ha creato particolari problemi l’epidemia di Covid, nonostante la popolazione abbia naturalmente sofferto a causa di un sistema sanitario carente. Ma nel complesso, racconta Nicolò, la situazione è rimasta sotto controllo, “anche se non sappiamo per via delle rilevazioni poco precise quanti siano stati i casi reali di contagio. Limitato, però, è stato il numero delle vittime e gli ospedali hanno retto bene. Forse perché – osserva Nicolò – parliamo di territori dove si sono sviluppate tradizionalmente le epidemie e dunque si è fatto tesoro delle esperienze accumulate negli anni”.

Tra le tante difficoltà incontrate laggiù da Nicolò e dal suo staff nell’edificazione della scuola, su tutte c’è la “corruzione dilagante”. A tutti i livelli, racconta il cooperante: “Il Kenya è un Paese molto corrotto. Una corruzione che si trova tanto tra i dirigenti che in ufficio tra gli impiegati. Ogni volta che devi chiedere un permesso o espletare anche un semplice adempimento burocratico devi farti il segno della croce e sperare che vada tutto bene”. Ma la sua vita oggi, nonostante tutto, è qui in Kenya. E prima lo è stata in Grecia, in Turchia, in Siria. Una vita che dopo le superiori (e probabilmente anche prima) era già segnata, la strada già tracciata. Sennò Nicolò non parlerebbe così: “Sette anni fa ho deciso di dedicare la mia vita agli altri. Avevo 20 anni, e tutti mi dissero che sarebbe stata una vita di privazioni. Sette anni dopo, mi sento l’uomo più ricco del mondo”.

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