È partito ch’era un ragazzino. È tornato in Italia strapieno di soldi e con un sacco di speranze: conquistare grazie al pallone anche il suo Paese d’origine, costruire uno stadio, magari vincere con la sua Fiorentina. Per farlo, non sta risparmiando passione (e denari): ha portato “200 milioni cash” al primo anno (ipse dixit), un centinaio li ha spesi solo nei primi due mercati, inanella progetti su progetti, ha convinto persino un campione del calibro di Ribery a vestire la viola. Però Commisso si ritrova con la squadra quart’ultima in classifica. Lo stadio è un miraggio, impelagato nelle maglie della burocrazia italiana (nonostante un “regalino” renziano). Ribery siede mestamente in panchina e al suo fianco c’è il vecchio Prandelli, che però non è più l’allenatore brillante e ambizioso di dieci anni fa ma un grigio traghettatore dalla carriera pericolosamente in declino. Povero Rocco, non è così che se la ricordava l’Italia.

Insieme forse solo al Torino di Urbano Cairo e Giampaolo, la Fiorentina è la vera delusione di questo inizio di campionato. Non è più nemmeno tanto inizio, perché dopo 11 partite (e la miseria di 9 punti totalizzati) si possono già tirare le prime somme, capire che campionato sarà o non sarà. E quello della Viola rischia seriamente di essere un’agonia. Eppure a guardare la squadra, i milioni spesi sul mercato, i giocatori a disposizione in rosa, le condizioni per far bene c’erano quasi tutte. La Fiorentina è squadra competitiva e ben costruita. Ha talento, il giusto mix di gioventù ed esperienza, qualità e quantità: Ribery, ovviamente, ma anche Castrovilli, Bonaventura, Callejon, e poi Milenkovic, Amrabat. Manca forse solo un grande centravanti, ma tra Kouame, Vlahovic e Cutrone era lecito aspettarsi che arrivassero pure i gol. Invece no: la Fiorentina ne segna pochissimi (11, terzo peggior attacco del campionato) e ne prende sempre di più (tre ieri dall’Atalanta, che avrebbero potuto benissimo essere il doppio). Non vince una partita da ottobre e adesso deve cominciare a preoccuparsi.

Una squadra che doveva puntare all’Europa costretta a lottare per non retrocedere. È davvero difficile capire cosa non stia funzionando. O forse è facilissimo. Basta una parola: allenatore. Commisso, nella sua ingenuità, non ha ancora capito che non esiste progetto al mondo (almeno al mondo del calcio) che possa funzionare senza la guida giusta. E lui la scelta del mister l’ha sbagliata clamorosamente, non una ma due volte. La prima in estate, quando dopo le voci più disparate su Juric, Spalletti, persino Sarri, è rimasto Iachini nello scetticismo generale. Confermare un allenatore senza convinzione è la maniera migliore per compromettere una stagione. Tanto più che la squadra sembrava ed era in effetti costruita per giocare un calcio diverso, come indicava chiaramente il profilo di tecnico ricercato inutilmente sul mercato. Sbagliata la prima scelta, non era facile rimediare in corsa. Ma nemmeno fare peggio. La Fiorentina sembra esserci riuscita: puntando su Cesare Prandelli, neanche una minestra riscaldata, solo un bellissimo ricordo che probabilmente meritava di non essere rovinato. Da quando è tornato a “casa”, non ha vinto una partita, non ha ancora trovato il bandolo della matassa ma nemmeno proprio il filo, come dimostra la sconfitta di Bergamo e la formazione schierata, senza né capo né coda. Prandelli sperava di rinascere a Firenze dopo anni sfortunati dopo anni e diverse esperienze sfortunate. Ma il passato non è quasi mai la soluzione, specie per la Fiorentina di Commisso che dovrebbe essere proiettata verso il futuro.

Twitter: @lVendemiale

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