Cultura

Lo Scaffale dei Libri, la nostra rubrica settimanale: diamo i voti a Peter May, Laszlo Krasznahorkai e Tim Finch

di Davide Turrini e Ilaria Mauri

Guerra e guerra - 2/3

“Un lento flusso di lava narrativa”. Intanto per capire cosa sia Guerra e guerra (Bompiani) di Laszlo Krasznahorkai – la “e” è congiunzione – bisogna recuperare sia la frase usata dal traduttore dall’ungherese all’inglese (George Szirtes) che abbiamo presentato nell’attacco, sia citare l’encomiabile lavoro di traduzione svolto dall’ungherese all’italiano da Dora Varnai. Già, perché questo romanzo iniziato nel 1992, dato alle stampe nel 1999 e infine arrivato in Italia nel 2020 è un lavoro piuttosto unico nel panorama letterario contemporaneo. Si tratta di un’instancabile e grumoso fiume di parole, dilatazione inaudita di singole frasi (non ci sembra di sbagliare, ma alcune riempiono un intero capitolo composto da parecchie pagine), senza distanziamenti tra paragrafi e prive di punti. Un tizio, che scopriamo essere il protagonista, l’archivista Korin, entra nel bar NON STOP, una bettola dove tutti sembrano come ubriachi e congelati nello spazio descritto. Korin comincia a raccontare il suo sbalordimento di fronte ad un fatto inaudito. L’attesa si allunga, l’eloquio si espande, in terza persona Korin esce dal prologo sparandosi ad una mano poi ritorna sul terrapieno lungo alcuni binari del treno minacciato da sette teppistelli che lo vogliono rapinare e anche a loro prova a raccontare la sua sorpresa rispetto a qualcosa di incredibile che ha incontrato. Poi ancora, Korin finisce in aeroporto per volare a New York, senza un visto e con pochissimi soldi. Nell’attesa che il visto arrivi si intrattiene nuovamente e lungamente con l’assistente di volo. Korin raggiungerà la “grande mela” e anche lì si attaccherà, con il suo solito fare stralunato e febbrile, ad un tizio che l’ha aiutato sciorinandogli la sua ossessione che finalmente veniamo a scoprire essere un manoscritto sull’epopea di quattro personaggi descritti in diverse epoche storiche in uno stato di guerra permanente. L’arrivo della fine del mondo sembra, nel racconto di Korin, essere imminente, ma arrivati in fondo al romanzo non arriva mai. Guerra e guerra è una composizione ossessiva, esagerata, abnorme, attorno all’intima follia di un singolo. Difficile comprendere cosa pensi realmente Korin, come sia fisicamente, cosa sia il suo passato. Complicato seguire poi l’osmosi multidimensionale del racconto nel racconto. Eppure la continuità di questa pastosa sintassi, questo andirivieni continuo nel tempo, questa idea di scrittura che sembra come “autocorreggersi” continuamente ad ogni riga, a comporsi ironicamente e malinconicamente parola dopo parola scrutando di sbieco una fine della storia che non si palesa mai del tutto, ha un fascino particolarissimo e una forza prorompente che ricorda Thomas Bernard. Un assaggino comunque non guasta. E poi comunque, pur nel richiamo ad una letteratura digerita da tempo, questo gorgo ammaliante un po’ ti prende. Ultime tre quattro pagine gustosissime e voto (d’altri tempi): 7 e 1/2

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