Devono essere effetti collaterali del corona virus a causare certe mutazioni che potremmo pasolinianamente definire “antropologiche”. In queste ultime settimane, infatti, si è scoperto tra gli italiani un fervore religioso che non conoscevamo prima. Fino a qualche settimane addietro si parlava di crisi della religione, di secolarizzazione della società.

La Chiesa registrava sempre più difficoltà ad attrarre persone, molto più attratte dallo shopping che dai rituali cristiani. Le parrocchie si svuotavano, le vocazioni si riducevano. E poi, di colpo ecco che tra gli effetti della pandemia registriamo la nascita di un nuovo forte spirito religioso, che spinge a frequentare la messa come mai prima, soprattutto quella di Natale.

Un’adesione quasi integralista alla fede cristiana, che scatena sussulti di indignazione al solo sentir parlare di un’anticipazione di due ore della messa di mezzanotte. Ma come? Si vuole anticipare la nascita di Gesù? Perché è certo che sia nato a mezzanotte del 25 dicembre dell’anno zero. Quale mezzanotte? Perché quella della Palestina coinciderebbe con le nostre ore 23, non 24, a essere pignoli.

Dopo avere innescato questo nuovo anelito spirituale, il virus deve anche avere agito sui neuroni che regolano i nostri impulsi affettivi verso gli anziani, attenzione, non tutti, i “nostri” anziani, i nonni. Quegli stessi anziani di cui sono piene le case di riposo, dove spesso trascorrono settimane senza ricevere visite dai parenti più stretti, oppure affidati alle badanti (che siano straniere in questo caso non importa, anzi), perché gli impegni lavorativi, le dimensioni delle abitazioni, il ritmo e le scelte delle nostre vite non consentono più di tenerli con noi.

Bene quegli anziani di cui ci dimenticavamo spesso e volentieri durante tutto il corso dell’anno, di colpo ci sono diventati necessari. Non possiamo farne a meno il giorno di Natale e loro non possono fare a meno di noi. Come si possono accettare delle regole così crudeli da costringerli a trascorre una giornata uguale alla maggior parte delle giornate che trascorrono durante l’anno? In solitudine, oppure in compagnia dei loro compagni di sventura?

In una società tesa alla continua ricerca dell’utile e del piacere individuale come la nostra, due obiettivi legati a un modello consumistico, dove l’età è considerata in molti casi un disvalore (vedi le uscite del presidente della Liguria), gli anziani un disvalore, in fondo non facciamo che anteporre ancora una volta il nostro egoismo e il nostro edonismo: è più importante sentirci appagati dall’avere assolto ai nostri “doveri” rituali, che ben poco hanno a che vedere con lo spirito cristiano, che non tutelare la salute di quelle persone.

Non si è più cristiani se si condivide un Natale, nemmeno se si fanno più regali: lo si è se si è capaci di esserlo tutti i giorni di ogni anno, rispettando le vite altrui.

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Confcommercio: a Natale un italiano su 4 non farà regali. “È più una scelta che una necessità, pesa l’impossibilità di scambiarli con amici e parenti”

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