Dagli inizi della pandemia mi sono sempre ripromesso, qualsiasi fossero le decisioni del governo, di ottemperarvi in silenzio, metterle in pratica senza discutere, anche quando con tutta evidenza – e i casi sono stati a dire il vero numerosi – le avessi considerate autentiche baggianate, provvedimenti inutili, perfino dannosi.

Credo infatti fermamente che la nostra propensione a discutere molto e a fare poco sia uno dei motivi della pessima situazione in cui ci siamo ficcati, dalla quale speriamo di uscire, anche se oggettivamente non vediamo affatto le basi ragionevoli per un cambiamento virtuoso.

Sarebbe meglio quindi interrompere questa cattiva abitudine, soprattutto nei momenti gravi. Così – già a partire da oggi – proviamoci tutti anche con i “divertentissimi” scontrini lotteria (ho già scaricato il mio codice), l’ultimo espediente pensato dal governo per spingere gli italiani a usare maggiormente gli strumenti di pagamento elettronico, meglio se incoraggiati dall’irrefrenabile passione nazionale per le riffe, le scommesse e l’azzardo insensato.

Figuratevi che, per quel che mi riguarda, abolirei tutte le scommesse pubbliche e private, non perché moralmente riprovevoli (anche), ma perché segno di una stupidità collettiva difficile a digerirsi, di un’irrazionalità economica nella quale non vorremmo riconoscerci e che lo Stato farebbe bene a non incoraggiare.

Infatti, è a tutti noto che ogni tipo di scommessa si basi e si giustifichi sul principio che il risultato finale delle entrate (le perdite) e delle uscite (i guadagni per gli scommettitori) debba essere favorevole al banco, cioè a chi gestisce le scommesse, che alla fine sono nulla di più che una consapevole accettazione della perdita inevitabile e preordinata (certamente in senso collettivo).

Nonostante ognuno di noi sappia che le consuetudini italiane in questo campo sono storiche ed ineliminabili, una specie di autodichiarazione di imbecillità collettiva alla quale non ci sottraiamo, perché in fondo nella vita le scommesse senza speranza, sono più attraenti delle sicurezze vantaggiose, ma noiosissime.

Un po’ più mi fa specie la cultura economica, che tendiamo a non sviluppare a non migliorare. Restiamo dei fessi irrazionali che amano poi lamentarsi, in genere per il danno che essi stessi si sono inflitti. Discutiamo di storture del mercato, ma poi comperiamo telefonini e gadget che hanno prezzi ingiustificati, tripli del costo di produzione effettivo.

Ci lamentiamo delle banche che ci vessano, delle società di servizi che ci impongono contratti capestro che lo Stato non stronca, strilliamo contro la burocrazia oltre che l’Agenzia delle Entrate, ma poi non facciamo nulla per cambiare i loro pessimi comportamenti, anche se sappiamo bene che la prima arma potente per votare non sono le schede elettorali, ma le scelte economiche, penalizzare i comportamenti che riteniamo ingiusti, iniqui o infondati. Il consumatore italiano certamente ama protestare a parole, ma ancor più ama non fare nulla di concreto e di efficace per cambiare le sorti del suo portafogli.

Il Covid, si diceva, avrebbe dovuto essere un’ottima occasione, fra le tante disgrazie, per cambiare in meglio, correggendo i difetti della nostra società, del mercato, dell’economia italiana. Però ecco che ancora per spiegare agli italiani l’utilità dei sistemi elettronici preferiamo ricorrere a una riffa. Così le banche sono felici, perché continueranno a riscuotere i prezzi intollerabili delle commissioni e delle spese, e gli italiani conserveranno la loro speranza di poter finalmente diventare ricchi con poca fatica.

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