Il giornalista Mauro Rostagno è stato ucciso dalla mafia siciliana. Ma a 32 anni dall’omicidio resta un mistero chi fu a sparare con i due fucili utilizzati. La Corte di Cassazione ha confermato la condanna emessa dai giudici di Appello di Palermo, che avevano ritenuto colpevole e stabilito l’ergastolo per il boss Vincenzo Virga come mandante e assolto Vito Mazzara dall’accusa di essere il killer “per non aver commesso il fatto”. Il procuratore generale Gianluigi Pratola aveva chiesto di annullare la sentenza, invocando un appello bis. I giudici della prima sezione penale però hanno emesso la sentenza definitiva che “ha confermato il contesto mafioso dell’omicidio, e questo è importante”, ma “è un peccato che resti un vuoto sugli esecutori materiali del delitto”, dice l’avvocato Fausto Maria Amato, legale di Chicca Roveri e Maddalena Rostagno, compagna e figlia del giornalista ucciso il 26 settembre 1988 a Valderice (Trapani), in contrada Lenzi, nei pressi della comunità di recupero tossicodipendenti della Saman.

Tutti sapevano che a volerlo morto erano gli uomini di Cosa nostra, ma per anni le indagini rimbalzarono tra piste investigative di altra natura. Nel processo di primo grado – giunto a sentenza nel maggio 2014 – furono condannati Vincenzo Virga, capo della mafia di Trapani individuato come il mandante (ergastolo), e Vito Mazzara, killer già detenuto per omicidi di mafia, ritenuto dai giudici colui che aveva ucciso materialmente Rostagno. In appello quest’ultimo – che era stato chiamato in causa da un esame del dna estratto dal sottocanna del fucile, compatibile al 99,9% con il suo – è stato assolto. Un quadro confermato dalla Cassazione. La svolta nell’indagine sull’omicidio Rostagno arrivò quando la Squadra Mobile di Trapani riuscì a far riaprire le indagini, a partire dall’esame del dna sui resti del fucile utilizzato quella notte.

Personaggio eclettico, con una forte connotazione politica, Rostagno arrivò a Trapani da sociologo dopo le esperienze a Trento che lo avevano visto protagonista nelle lotte studentesche, ma anche dopo una lunga permanenza a Milano in cui fondò il circolo Macondo, prima di andare in India a seguire le orme del guru Osho. Poi ritornò in Italia con Francesco Cardella, creando a pochi chilometri da Trapani la Saman, una comunità di recupero tossicodipendenti, che lo proiettò a Rtc, una televisione locale di cui divenne il principale animatore, discutendo di mafia e malaffare, con nomi e cognomi reiterati nelle sue trasmissioni. Due killer lo uccisero mentre rientrava in comunità a bordo della sua Duna bianca. Negli anni Novanta la procura indagò anche su un secondo personaggio già condannato per mafia, Franco Orlando, accusato di essere il secondo killer del giornalista, ma l’inchiesta venne archiviata.

Le indagini sulla morte di Rostagno sono state caratterizzate da episodi di depistaggio ed è tuttora in corso davanti al Tribunale di Trapani un procedimento contro dieci persone, tra cui esponenti delle forze dell’ordine, accusati di falsa testimonianza. Uno dei primi filoni investigativi riguardò la cosiddetta “pista interna”. Cardella e la Roveri finirono sotto inchiesta. Il primo – su cui vennero svolte anche altre indagini di natura finanziaria e sui suoi rapporti con il leader del partito socialista Bettino Craxi – si rifugiò in Nicaragua, la seconda finì accusata e arrestata (è stata poi scagionata da ogni accusa) per favoreggiamento insieme con Monica Serra, la donna che viaggiava con Rostagno a bordo della Duna bianca al momento dell’uccisione. In quegli anni a Trapani operava il centro studi Scontrino, all’interno della quale era sorta la Loggia Iside 2 in cui convergevano gli interessi di mafia, politica e massoneria e in città era perfino stata aperta una sede di Gladio chiamato Centro Scorpione.

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