Non è ancora entrato nella fase operativa. E già preoccupa i professionisti. Al punto da generare un mercato assicurativo per coprire i consulenti dal rischio di errori e per evitare che un vantaggio fiscale per i cittadini si trasformi in un boomerang anche per lo Stato. Il superbonus 110% piace, ma sono ancora diversi i nodi da sciogliere. Primo fra tutti quello della responsabilità di tecnici e asseveratori rispetto ad una procedura macchinosa con cui si confrontano ingegneri, architetti, artigiani, commercialisti, consulenti del lavoro, Caf. E cioè le categorie professionali che sono in prima linea per far funzionare una delle misure più importanti messe in campo dall’esecutivo per rilanciare l’economia.

“Si è aperto un mercato dove stanno lavorando banche, assicurazioni, gruppi professionali, le big four della revisione come Price, Deloitte, Kpmg – spiega Maurizio Postal, consigliere dell’Ordine dei commercialisti con delega alla fiscalità -. Tutti stanno tentando di mettere assieme l’aspetto tecnico, tributario e finanziario per offrire un prodotto integrato soprattutto ai condomini che saranno la fetta più rilevante del mercato”. Ma è un fatto, secondo Postal, che “criticità ce ne sono tante perché la norma è complicatissima”, come testimoniano le continue interrogazioni all’Agenzia delle Entrate. Sul tema delle polizze per i professionisti, poi, se per i commercialisti sono una prassi consolidata nell’asseverazione, ma necessitano di una revisione negli importi, per i tecnici, ingegneri e architetti rappresentano una novità assoluta. L’assicurazione è infatti espressamente richiesta dal decreto per il superbonus sostanzialmente per “certificare” il credito che poi sarà immesso su un mercato come quello creato dalla Crif.

Il problema però sta nel fatto che il decreto non ha specificato quali attività devono essere coperte e per quali importi. “Il tema è di creare un sistema di riferimento che consenta alle compagnie assicurative, ai professionisti e ai committenti e anche allo Stato di avere la garanzia di sottoscrivere una polizza che sia nelle condizioni di assicurare l’interesse pubblico dell’intervento”, precisa Massimo Crusi, coordinatore Dipartimento Riforme e politiche per la professione del Consiglio Nazionale Architetti, Pianificatori, Paesaggisti e Conservatori. “Se noi lo lasciamo libero al mercato, avremo diecimila polizze diverse che tendenzialmente potrebbero coprire alcune attività professionali e non altre”. Ecco perché, già a settembre, l’Ordine degli architetti ha chiesto al governo un protocollo o delle linee guida che consentano al professionista di stare tranquillo e anche allo Stato di essere certo che il credito, successivamente ceduto magari alla banca, sia coperto.

“Con un protocollo quadro si garantirà l’attività professionale che potrebbe anche non sfociare nel credito d’imposta – conclude Crusi -. Il che sarebbe un vero problema per tutti perché nel momento in cui non si dovesse arrivare al credito d’imposta, chi garantisce chi? Per quanto si è garantiti? Per come? E’ nell’interesse generale di tutti: io professionista sono magari convinto di essere garantito e poi invece può accadere che devo rispondere con il mio patrimonio personale”. Patrimonio che peraltro non è detto sia in grado di coprire l’eventuale danno, con il rischio di svuotare di valore del credito d’imposta, magari già ceduto. La questione è d’attualità anche per commercialisti, consulenti del lavoro e Caf. “Possiamo certificare un credito di imposta ai fini della sua utilizzazione – riprende Postal dell’Ordine dei commercialisti – La nostra attività prevede una polizza da circa un milione con cui siamo già coperti, come richiesto, in fase finale come cessione di credito a terzo o sconto in fattura. Lavoriamo su una prassi già esistente, ma anche a livello della nostra categoria dobbiamo verificare la capienza e l’idoneità contrattuale di queste polizze che ci coprono perché se si fanno dieci visti di conformità, magari il massimale che abbiamo in queste polizze non è sufficiente o adeguato. Va fatta una verifica contrattuale”.

Per Confartigianato, è invece necessario offrire gli strumenti adeguati alle imprese, soprattutto a quelle più piccole che hanno ancora difficoltà di accesso al credito. “Il bonus è una grande opportunità che bisogna certamente far funzionare, una misura ad alta intensità di agevolazione in grado di rimettere in maniera consistente in moto un mercato che ha una criticità pre-Covid che è tutto il comparto della casa e dell’edilizia con annessi e connessi – precisa Bruno Panieri di Confartigianato – Da parte delle imprese c’è tutto l’impegno a far funzionare questo intervento. Non possiamo però nascondere l’esistenza di alcune complessità che sono state introdotte nel meccanismo, in qualche modo eccessive, ma legate al fatto che stiamo parlando di una misura che ha addirittura una premialità rispetto al costo che il committente sostiene per riqualificare una casa. Probabilmente la solita logica della presunzione di colpevolezza e della prevenzione delle truffe ha reso un po’ troppo stringente il meccanismo di verifica e controllo. Forse qualche passaggio avrebbe potuto essere fluidificato”. Ma su una cosa professionisti e aziende sono d’accordo: la cosa più importante è che l’operazione crediti fiscali e superbonus vada in porto sostenendo l’intera filiera del settore delle costruzioni.

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