«Ma lei ha provato a leggerlo? Io la prima volta mi ci sono perso a metà. È una matassa inestricabile di rimandi ad altre norme». E sì che Maurizio Postal, consigliere dell’ordine nazionale dei commercialisti, ai cavilli della burocrazia è abituato per mestiere. Ma quando si è trovato di fronte ai due articoli del decreto Rilancio sul super bonus del 110% per gli interventi di efficientamento energetico di immobili ha sgranato gli occhi, prima di stropicciarseli per scacciar via la sopraggiunta stanchezza. «In deroga all’articolo 14, commi 2-ter, 2-sexies e 3.1, e all’articolo 16, commi 1-quinquies» e così via per qualche riga. Poi una frase in italiano, ma subito dopo nuovi rimandi su rimandi ad altre norme. Il suo sfogo è raccolto da FQ MillenniuM, il mensile diretto da Peter Gomez, in edicola da sabato 10 ottobre con un numero dedicato al mostro mai sconfitto della burocrazia italiana, anche in vista dell’arrivo dei 209 miliardi del Recovery Fund.

Eppure il super bonus interessa tantissime persone che praticamente gratis potranno ristrutturare casa con migliorie ai consumi. «Una norma che coinvolge una platea così vasta di cittadini andava scritta in italiano, in modo che chiunque potesse comprenderla», sottolinea Giuseppe Cappochin, presidente dell’ordine nazionale degli architetti. E invece no. Ma oltre alle difficoltà linguistiche, c’è di più. Perché la materia, già complicata da un punto di vista tecnico, è diventata complicatissima per i paletti che governo e Parlamento hanno frapposto all’ottenimento della maxi detrazione. Dai due articoli di legge dedicati al super bonus, seguiti dai consueti decreti ministeriali di attuazione, sta così nascendo una copiosa produzione di altra carta, per spiegarne il significato. E un nuovo affare per professionisti e consulenti, necessari per muoversi nella giungla normativa.

“Le Big four all’assalto del mercato dei super bonus”, titolava a metà settembre Il Sole 24 Ore riferendosi ai quattro colossi della consulenza Deloitte, Pwc, Ernst & Young e Kpmg. Ma anche realtà più piccole si sono attrezzate per fare affari su un business a cui si somma il business della complicanza burocratica: consulenze110.it e ecobonus110.com sono solo due dei siti nati insieme all’approvazione della legge, con la promessa di mettere a disposizione del cliente team di professionisti specializzati nelle detrazioni fiscali e in progetti chiavi in mano. Cosa che preoccupa l’architetto Cappochin: «Non ci piace che diverse società finanziarie propongano progetti chiavi in mano. L’architetto deve essere una figura indipendente che valuta la fattibilità dell’operazione, deve essere pagato dal committente, non da una società che guadagna sui lavori».

Così team di esperti dovranno scervellarsi su ogni singola situazione pratica, col rischio che il cittadino spenda soldi per studi di fattibilità finiti male per cui non potrà detrarre nulla. Ma guai a dire a Cappochin che tutta questa complicazione burocratica è già da sola un’occasione di business per gli architetti. «Nel nostro lavoro ormai dedichiamo il 20% del tempo al progetto e l’80% alle pratiche burocratiche», si lamenta. «Per noi la burocrazia è un costo, non certo una fonte di guadagno».

Simile lamentela arriva dal commercialista Postal. Nemmeno lui ci sta a sentirsi dire che i suoi colleghi si avvantaggino dell’illeggibilità degli articoli sul super bonus e, in generale, dell’intrico delle norme fiscali tipicamente italiano: «È solo un luogo comune», sostiene. «Ci sono molti adempimenti a bassissimo valore aggiunto che per noi sono solo motivo di frustrazione. È come se fossimo diventati degli impiegati dell’amministrazione finanziaria che lavorano gratis». Secondo Postal, la dichiarazione precompilata, uno dei più pubblicizzati tentavi nostrani di semplificazione burocratica, si è così rivelata un “bluff”: «Sui 21,2 milioni di 730 totali del 2019, ben 18 milioni sono stati trasmessi ancora attraverso i professionisti e, soprattutto, i Caf».

Caf, patronati, ma anche 9000 aziende di disbrigo pratiche – racconta ancora l’inchiesta di FQ MillenniuM – sono gli altri protagonisti del business della complicazione burocratica. Che se è tale per gli italiani, figuratevi per gli stranieri. Per loro basterebbe uno sportello pubblico o un sito online che forniscano in modo organico istruzioni chiare e precise. E invece no, non ce n’è traccia. «Ciò che dovrebbe e potrebbe essere semplice, non lo è», dice Livio Neri, avvocato dello studio milanese Diritti e Lavoro. «Così un immigrato è costretto a rivolgersi ad agenzie, avvocati o associazioni varie che ci guadagnano sopra».

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