Dopo il dissesto di Trenord, che fin dalla sua nascita rappresenta con brutale evidenza il fallimento del federalismo ferroviario e che ha generato quotidiani e pesanti disservizi per i pendolari (ritardi, soppressioni di treni e contagi) prima, durante e dopo la pandemia, ora Ferrovie Nord Milano (controllata da Regione Lombardia) cerca di fare il salto di specie come il Covid, passando dai treni alle strade.

L’azienda regionale quotata in borsa ha sottoscritto infatti con la regione Lombardia l’accordo per l’acquisizione dell’82,4% della Milano-Serravalle al prezzo di 519,2 milioni di euro. L’accordo prevede anche che la Regione sottoscriva un aumento di capitale da 350 milioni di Pedemontana: di fatto, si tratta di un’altra enorme erogazione di risorse pubbliche alla gestione fallimentare di Pedemontana.

Con risorse ferroviarie che era meglio destinare a nuovi treni o ad assunzioni di personale viene invece sostenuta l’autostrada simbolo del fallimento (dopo Trenord) del federalismo dei trasporti lombardo. Finora sono stati realizzati tre tratti scollegati tra loro da Cassano Magnago a Lentate sul Seveso e due tratte di tangenziali a Varese e a Como. Tratte tutte sottoutilizzate, anche perché il costo dei pedaggi è doppio rispetto a quello della media autostrade italiana.

L’obiettivo “civetta” di Fnm è di quelli roboanti a parole, ma più che mai generico nei fatti: costituire il primo polo integrato autostrada-ferro-gomma in Italia, una holding strategica nel settore infrastrutture in Lombardia. Come avrebbe detto l’ex pm, ex ministro ed ex Ad Pedemontana (se ne sono avvicendati una decina negli ultimi anni) Antonio di Pietro: “Che c’azzeccano le ferrovie con le autostrade?”.

Lo facesse un operatore di successo sarebbe un conto, ma che estenda il proprio perimetro operativo chi ha dimostrato di non saper gestire le sue funzioni originarie spaventa. E spaventa ancora di più che lo scopo reale sia un altro: non far fallire Pedemontana (e il suo progetto vecchio di 50 anni), che entro il 2021 deve mettere in cassa i 500 milioni previsti dalla convenzione firmata con il Ministero dei Trasporti.

Ciò nel tentativo estremo (più volte fallito perché il mercato finanziario non crede più in quest’opera) di farsi finanziare i 2 miliardi necessari per proseguire nell’investimento (fermo da 10 anni) e di poter accedere alla defiscalizzazione per 480 milioni di euro. Se Fnm avesse una storia di successo nella gestione delle ferrovie lombarde ci potrebbe pure stare che aiuti a risolvere il disastro di Pedemontana, ma la storia è un’altra, anzi più di una. Due sono i veri obiettivi di questo capolavoro di fantasia finanziaria:

1. Salvare per l’ennesima e costosa volta il fallimentare progetto Pedemontana avendo consumato oltre un miliardo di contributi pubblici per tre tronchi autostradali inutilizzati. Una indecenza sulla quale la magistratura ha acceso i fari diverse volte e da cui perfino un mastino come Antonio Di Pietro è scappato a gambe levate, come a gambe levate dalla concessionaria autostradale Serravalle è scappato pochi mesi fa anche il Gruppo Gavio.

Il risultato è che Fnm toglierà oltre mezzo miliardo alla propria missione per versarli in un pozzo (nero) senza fondo, e che per aggiunta la Regione ci metterà 350 milioni – che sa il cielo quanto meglio potrebbero essere spesi in questi tempi di pandemia.

2. L’operazione serve anche ad eludere la scadenza della concessione di Serravalle nel 2028, spostando l’asse societario in sole mani pubbliche.

Sembra un risultato positivo e invece è una fregatura pubblica, perché se messa a gara la concessione della Serravalle potrebbe portare molte centinaia di milioni nelle casse dello Stato che si potrebbe dedicare alla sicurezza delle altre strade, mentre così resterà solo un costo per i cittadini e per le casse pubbliche.

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