Una punizione di sinistro pennellata al centro che manda in gol Fulvio Collovati, qualche minuto dopo un inserimento dalla trequarti a bersi mezza difesa e il pallone mandato alle spalle di Ottorino Piotti: in mezz’ora Hans-Peter “Hansi” Müller da Stoccarda si è preso il derby di Milano. Era il 6 novembre 1983, 37 anni fa: quella prestazione maiuscola che regala al tedesco gli applausi del Meazza all’85esimo, quando viene sostituito dallo sfortunato Ludo Coeck, fa ben sperare pubblico interista e società.

Eh sì, perché Hansi era a Milano già dall’anno prima, era stato lui il colpo di Ivanoe Fraizzoli, ma tanto bene non era andata. Müller è un ragazzo serio, intelligente, studioso: gioca bene a pallone, e con lo Stoccarda lo ha dimostrato grazie a un sinistro e a una classe sopraffini, soprattutto. Meno “classe” ma un piglio da compagnone, tutt’altro che tedesco, l’aveva dimostrato incidendo nell’estate ’82 un 45 giri con l’orchestra di Raul Casadei.

Quanto a classe e sinistro però, il problema è che queste caratteristiche sono il pezzo forte di un calciatore che all’Inter già c’è, si chiama Evaristo Beccalossi detto “Becca”, ed è pure amatissimo dal pubblico di fede nerazzurra, che gli tributa striscioni del tipo “Evaristo meglio di Cristo”, per intenderci. Sono gli anni ’80, il Brasile di dieci anni prima che poteva giocare con cinque numeri 10 era diventato già leggenda ma in Italia la faccenda è ben diversa. E già tenerne uno che magari non corre dietro agli avversari a volte è rischioso, figuriamoci due.

Rino Marchesi però deve da un lato tutelare l’investimento della società, dall’altro accontentare i tifosi che vogliono veder il Becca in campo e quindi prova a schierarli tutti e due, almeno quando può. I risultati, dopo un inizio promettente con due gol in due partite, sono tutt’altro che buoni: i due si pestano i piedi, e uno sfogo di Beccalossi passerà alla storia, quando dirà che una sedia è più utile di Müller, perché almeno tirando il pallone su una sedia sarebbe tornato indietro.

Ma Hansi è uno che sa incassare. Anche perché tra la sedia di Beccalossi, un (presunto) cazzotto di Salvatore Bagni in allenamento, uno schiaffo di Alessandro Altobelli durante Inter-Avellino per non avergli passato il pallone, a non saper incassare ci sarebbero stati i presupposti per presentarsi armato ad Appiano Gentile. Ma è uno giusto, Hansi: ama l’Italia, gli piace girare per ristorantini e scoprire posti nuovi, riuscendo a farsi amare anche dai compagni.

La prima stagione scorre via così, con 7 gol e poche partite convincenti. L’anno dopo va via Marchesi e arriva Gigi Radice che prova a normalizzare la coesistenza tra Beccalossi e Müller, schierando il tedesco sulla destra: le cose sembrano andare bene inizialmente, meravigliosamente nel derby vinto 2-0 contro il Milan, ma poi, anche complice un ginocchio malandato che gli provoca dolore, Hansi non riesce a imporsi in nerazzurro neanche nella sua seconda stagione.

La società passa di mano e arriva Erneso Pellegrini che non ha intenzione di puntare su Müller, scegliendo come stranieri il connazionale Karl-Heinz Rummenigge e l’ex juventino Liam Brady. Müller passa al Como, neopromossa e meno impegnativa piazza, ma neppure qui, sempre a causa dei fastidi al ginocchio, in campo gli va troppo bene. Quattordici partite e un solo gol, su rigore: molto più convincente il curriculum da dj con le radio locali, dove si diverte molto. Dice addio all’Italia alla fine del 1985 per finire la carriera in Austria. Trentasette anni fa erano gli applausi dunque. E, nonostante abbia preso anche qualche schiaffo, Hansi ancora oggi ama il Bel Paese, ne parla volentieri e ci torna quando può, ritrovando gli amici di allora.

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