“Sono contrario come cittadino perché sarebbe un suicidio per la nostra economia; come scienziato perché penalizzerebbe l’educazione dei giovani, che sono il nostro futuro, e come medico perché vorrebbe dire che malati, affetti da altre patologie, specialmente tumori, non avrebbero accesso alle cure. Tutto questo a fronte di una malattia, la Covid-19, che, tutto sommato ha una bassa letalità. Cioè non è così mortale. Dobbiamo porre un freno a questa isteria”. Giorgio Palù, virologo con quasi 700 pubblicazioni scientifiche e oltre 16mila citazioni, in una intervista al Corriere della Sera va controcorrente rispetto al sentimento generale di molti scienziati che chiedono misure più restrittive al governo e alle autorità locali. E anche all’allarme di chi è in prima linea, come gli anestesisti, e vede nell’impennata dei ricoveri la certezza che fra 15 giorni il sistema andrà in default.

Il professore emerito dell’Università di Padova e past-president della Società italiana ed europea di Virologia commenta i dati degli ultimi giorni – solo ieri i casi di positività sono stati 19.143 con oltre mille persone in terapia intensiva – ricordando quello è noto da tempo ovvero che il 95% delle persone infette è asintomatico o sviluppa poco sintomi e solo il 5% invece si ammala di Covid. Ma come spiegato in una intervista al Fattoquotidiano.it il professor Massimo Galli, primario di Malattie infettive all’ospedale Sacco, quella platea sta aumentando e “si sta rapidamente virando su un aumento della richiesta di persone con una patologia grave che è l’espressione del fatto che si sta allargando il denominatore e che il numero di quelli che stanno male sul denominatore va rapidamente crescendo”. Più cresce il numero di contagiati e più crescerà il numero di casi gravi.

Secondo Palù non è detto che tutte le persone positive siano “contagiose cioè che possano trasmettere il virus ad altri. Potrebbero farlo se avessero una carica virale alta, ma al momento, con i test a disposizione, non è possibile stabilirlo in tempi utili per evitare i contagi“. Il motivo potrebbe essere “una carica virale bassa, perché potrebbero essere portatrici di un ceppo di virus meno virulento oppure perché presentano solo frammenti genetici del virus, rilevabili con il test, ma incapaci di infettare altre persone”. Quello che conta sapere secondo Palù è “quante persone arrivano in terapia intensiva: è questo numero che dà la reale dimensione della gravità della situazione. In ogni caso questo virus ha una letalità relativamente bassa, può uccidere, ma non è la peste“.

Certo è che stando ai dati aggiornati i posti di terapia intensiva che erano stati programmati non sono pronti in molte Regioni che si trovano molto al di sotto della soglia di sicurezza, stabilita dal governo ovvero 14 ogni 100mila abitanti. Ci sono regioni virtuose come il Veneto che quella soglia l’hanno abbondantemente superata (quasi 17) e altre come la Campania che invece sono lontanissime (poco meno di 8). Senza contare l’allarme lanciato sulla carenza di personale specializzato proprio per le terapie intensive.

“Chi ha sintomi gravi viene ricoverato. Ma ci sono anche i ricoveri sociali mi informano i clinici. Persone che hanno disturbi lievi, ma non possono stare a casa perché sono soli o perché possono infettare altre persone in famiglia o perché sono poveri e non sanno dove andare. Se ne dovrebbero occupare i medici di famiglia, ma non esistono regole e protocolli che li orientino nella scelta delle terapie. Sono lasciati soli” dice Palù. Ma proprio la medicina territoriale invocata come ha dimostrato un’inchiesta del Fattoquotidiano.it è stata una trincea, in Lombardia per esempio, travolta dal Covid.

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