In linea generale ritengo che la paura sia una cattiva consigliera. Tende a bloccare e impedire un sano ragionamento e la possibilità di affrontare la difficoltà in modo serio e mirato. Purtroppo, sottolineo il purtroppo, in questo momento la paura pare invece necessaria. Le persone, solo se spinte dalla paura, metteranno in atto accorgimenti atti a ridurre la circolazione del virus. Non c’è provvedimento governativo che tenga, se non riscopriamo in noi questo sentimento atavico. Dalle caverne in poi la paura degli altri animali ha costretto l’uomo a raggrupparsi con suoi simili ed accettare regole sociali. Nel bambino la paura della sofferenza aiuta a comprendere cosa si può fare e cosa no. Se il bimbo salta dalla sedia e si sbuccia il ginocchio, attraverso il timore che si ripeta il dolore, imparerà a non compiere più acrobazie pericolose.

Se, per ipotesi, il genitore riuscisse a mettere un cuscino per attutire la caduta dalla sedia, ecco che il bimbo proverebbe a saltare dal tavolo e se il genitore solerte mettesse un materasso, il piccino passerebbe al salto dalla finestra. Pinocchio che come burattino non sentiva il dolore per questo motivo si addormentò davanti al fuoco, senza accorgersi che i piedi stavano bruciando. La paura, assieme al senso d’ansia e di colpa, aiutano l’uomo a comprendere cosa evitare e quali accorgimenti porre in essere per non provare queste esperienze sgradevoli.

Nei primi del Novecento era molto di moda quella che venne poi definita come Pedagogia nera. Propugnava una educazione rigida, repressiva, autoritaria, condita con punizioni corporali per “raddrizzare” i giovani e farli rigare dritto. Nel Dopoguerra, giustamente, si sono sottolineati i limiti di questo modello educativo che, tra l’altro, aveva predisposto le persone ad accettare le ideologie totalitarie.

Nel corso degli ultimi cinquant’anni il modello educativo è stato sempre più permissivo, fino ad arrivare alla situazione attuale in cui il “povero figliolo” viene scusato sempre, a prescindere, dai genitori. Spesso non esiste nessun argine, per cui gli educatori non sono in grado di porre ai ragazzi alcun limite. La società provvederà quando il ragazzino diverrà adulto. Scoprirà, amaramente, che non è un principe e che ogni suo desiderio non è un ordine, come gli hanno fatto credere solerti nonni e genitori, dediti a coccolarlo. Si renderà conto di essere un numero e che la competizione, fuori dalle mura familiari, è accesa.

Una società educata e abituata alla permissività ha difficoltà ad uniformarsi a delle regole ragionevoli: mettere la mascherina, non assembrarsi, lavarsi le mani. Sacrifici lievi vengono vissuti come intollerabili: risulta quindi inaccettabile non poter stare in gruppo con gli amici o in comitive allegre. Mettere dei divieti può essere utile, ma sarà difficile riuscire a farli rispettare se non scatta la paura. Non è possibile mettere un carabiniere in ogni famiglia e, se la sensazione di poter trasgredire è diffusa, non verranno rispettate le norme fondamentali. Ripeto ancora che non mi piace doverlo ammettere ma, purtroppo, solo la paura ci può salvare dall’aggressività di questo virus.

Accanto alla paura deve esserci però la speranza. Non una speranza fideistica, ma un sentimento alimentato dalla ragionevole certezza che tutti stiamo procedendo verso un traguardo in cui non sarà più necessario avere paura. Per questo motivo la credibilità di coloro che prendono le decisioni è importante. In un momento come questo chi governa non deve fare stupidaggini, affrettarsi a proporre soluzioni improbabili, ma parlare al cuore e alla ragione delle persone, mettendo in evidenza le difficoltà, senza sottacerle e rimpallare le responsabilità.

Capisco che avere a che fare con opposizioni che ti criticano a prescindere può paralizzare e rendere difficile ogni provvedimento, ma in questo momento occorre che i governanti accettino le critiche. La sensazione che qualcuno è in grado di decidere per tutti, per il bene comune, anche compiendo errori, è fondamentale.

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